martedì 12 ottobre 2010

La questione capitale al centro dei lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente

Essere cristiani o non esserlo più

di Manuel Nin


Al rientro del suo pellegrinaggio in Terra Santa, Benedetto XVI nel settembre 2009, alla presenza dei patriarchi e dei capi delle diverse Chiese orientali cattoliche, e accogliendo la loro richiesta, convocò il Sinodo per il Vicino Oriente. La vita concreta delle Chiese cristiane orientali cattoliche, le loro sfide, le loro speranze, i loro timori portarono i loro pastori a proporre al vescovo di Roma d'indire la celebrazione di questo strumento della vita ecclesiale. L'uso e il significato della parola sinodo, termine forse più nuovo in Occidente, non lo è per l'Oriente, e molto meno per quell'Oriente cristiano, che chiamiamo appunto "prossimo" e che raccoglie la sua eredità multiforme soprattutto dall'antichissima sede di Antiochia.
Mentre lungo i primi secoli dell'era cristiana l'altra grande sede episcopale dell'Oriente cristiano, quella di Alessandria, ebbe nell'episcopato stesso e nella scuola teologica della città il luogo di riflessione sia teologica che ecclesiologica, e che si manifestò nelle grandi figure che vanno da un Origene (ii-iii secolo) a un Cirillo di Alessandria (v secolo); la Chiesa antiochena lungo la sua storia bimillenaria, ebbe invece nell'istituzione sinodale lo strumento fondamentale per affrontare e risolvere i problemi sia di carattere teologico che ecclesiologico. Dalla seconda metà del iii secolo fino al vi secolo ben inoltrato, Antiochia fu sede di diversi sinodi che affrontarono temi dottrinali ed ecclesiologici molto importanti: la questione attorno a Paolo di Samosata nel sinodo del 268; nei decenni dopo il concilio di Nicea del 325 tutti i diversi sinodi antiocheni che coinvolsero i vescovi della regione nell'accettazione o meno del credo niceno, e che furono sinodi soprattutto di carattere dottrinale; quindi attorno alla figura di Melezio di Antiochia eletto vescovo nel 360, tutti sinodi che affrontarono questioni di carattere fortemente ecclesiologico e che coinvolsero anche la sede romana e le grandi figure episcopali di Basilio di Cesarea e Damaso di Roma.
Quella città dove i cristiani furono per prima volta chiamati con tale appellativo (cfr Atti degli Apostoli, 11, 26) è la culla di una buona parte delle tradizioni culturali, linguistiche, liturgiche e teologiche dell'Oriente cristiano. In modo speciale Antiochia è il grembo di tre grandi tradizioni liturgiche che ancora oggi conformano la vita teologica, liturgica e spirituale di diverse Chiese orientali: la tradizione siro orientale; quella siro occidentale e quella bizantina.
Nell'ormai lontano 1977 uno dei migliori conoscitori e amatori del Vicino Oriente cristiano, padre Jean Corbon (1924-2001) pubblicava L'Eglise des Arabes, un libro illuminante e indispensabile nel suo genere, in cui l'autore analizza e approfondisce la presenza della Chiesa nell'area mediorientale a partire dalla realtà cristiana della città di Antiochia. All'inizio della sua opera Corbon si chiede quali siano i modi per conoscere e per vivere "una" e "in una" Chiesa. E ne elenca tre. In primo luogo, la necessaria conoscenza "dell'umanità di Cristo che è ogni Chiesa, qua e adesso, da un punto di vista geografico a quello sociologico e anche linguistico". In secondo, luogo la necessaria conoscenza "di quello che oggi succede in ognuna delle Chiese a partire dalla sua storia, dai fatti che l'hanno configurata e travagliata lungo i secoli. La sensibilità per sentire l'armonia della storia" nella vita di quella Chiesa. In terzo luogo, la necessaria conoscenza "della fede, cioè della Chiesa vista e vissuta come mistero di fede, e come mistero di fede che coinvolge e investe la vita di ognuno dei fedeli".
Lungo la sua opera, Corbon analizza nella prima parte la storia cristiana della città di Antiochia, e parlando di questa città lo sguardo dell'autore va a tutto il Vicino Oriente cristiano, sottolineando un fatto che mai potremmo ignorare per capire la realtà, di ieri e di oggi, di queste terre: il processo di inculturazione araba che, al di là delle varianti anche confessionali tra le diverse Chiese cristiane, creerà un forte senso di comunione tra di loro. Fatto, però, che non toglierà la presenza di due altre realtà culturali e linguistiche importanti: quella greca e quella siriaca.
Nella seconda parte dell'opera, Corbon fa un'analisi accurata della situazione attuale della Chiesa antiochena - leggiamo di tutto il Vicino Oriente - e propone dei punti su cui riflettere per capirne i veri problemi. In primo luogo, la problematica delle realtà ecclesiali provenienti dall'Occidente, sia di ambito cattolico latino che riformato, e insiste sulla necessità vitale di rifiutare qualsiasi forma di proselitismo sia di carattere ecclesiologico che liturgico - evitando forme oggi diremmo di sincretismo e di ibridismo liturgico tra diverse tradizioni che hanno ognuna un patrimonio unico e intangibile. In secondo luogo, Corbon accenna alla realtà delle Chiese orientali cattoliche in ambito antiocheno: armeno cattolica, greco cattolica, siro cattolica e caldea, e al loro rapporto con le Chiese sorelle di comunione ortodossa.
L'autore insiste "sull'asse attorno al quale tutte le questioni si unificano e si chiariscono, cioè la comunione nella carità tra le Chiese. È attorno a questo asse che tutte le altre questioni possono essere abbordate, senza per niente minimizzarle".
All'inizio della celebrazione del Sinodo, l'opera di Jean Corbon diventa dunque sicuramente profetica in molti aspetti e in qualche modo si potrebbe proporre quasi come un secondo Instrumentum laboris per le riflessioni dei padri sinodali che in queste due settimane sono chiamati sì a radunarsi, incontrarsi, pregare insieme, ma soprattutto chiamati a mettere sul tavolo con schiettezza non disgiunta da grande carità, i problemi dei cristiani oggi nel Vicino Oriente. In quella realtà multiculturale e multietnica che è il bacino orientale del Mediterraneo e dei paesi che lo circondano.
Vescovi di diversi Paesi, di diverse lingue, di tradizioni liturgiche e anche spirituali diverse si incontra per riflettere sui problemi pastorali e soprattutto sulla vita delle Chiese, sulla situazione ogni giorno più precaria in vista alla continuità di una presenza cristiana autoctona in quelle terre dove il cristianesimo nacque e si sviluppò come Chiesa.
Corbon conclude la sua opera citando la frase del Patriarca Atenagora e che potrebbe essere anche uno dei fili conduttori delle riflessioni dei padri sinodali: "La questione dell'unità tra i cristiani non è più una questione su quello o quell'altro modo di essere oggi Chiesa, ma la questione di essere cristiani o non esserlo più".


(©L'Osservatore Romano - 13 ottobre 2010)

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