domenica 30 gennaio 2011

2 Febbraio: Festa dell'Ypapantì, o dell'Incontro di Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo



…per annunciare ad Adamo che ho visto Dio fatto bambino…


Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande solennità… Così la peregrina Egeria, nella seconda metà del IV secolo, ci dà testimonianza della celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica dell’Anastasi (Risurrezione) della festa dell’Incontro del Signore, con la proclamazione della pericope evangelica di Lc 2, 22-40. La festa del 2 febbraio è una delle Dodici Grandi feste dell’anno liturgico, e così la considera la stessa Egeria paragonandola quasi alla Pasqua: valde cum summo honore hic celebrantur… cum summa laetitia ac si per Pascha… Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad Alessandria, ad Antiochia e a Costantinopoli e, alla fine del VII secolo viene introdotta a Roma da un papa di origini orientali Sergio I (687-701), che vi introdurrà anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Con il titolo di Incontro (Hypapantì) la Chiesa bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l'incontro di Gesù con l'anziano Simeone, cioè l'Uomo nuovo con l'uomo vecchio, e l'adempimento dell'attesa di tutto il popolo di Israele rappresentato nelle figure di Simeone ed Anna. La festa ha un giorno pre festivo (proeortia) e un’ottava (metheortia). L'ufficiatura del giorno, molto ricca a livello cristologico, ha dei tropari di Romano il Melode, Giovanni Damasceno, Andrea di Creta ed altri autori appartenenti alla grande tradizione di innografi bizantini. Sono dei testi che sottolineano il mistero dell’Incontro del Verbo di Dio incarnato con l’uomo, il nuovo Bambino, il Dio prima dei secoli –come lo cantavamo a Natale- viene incontro all’uomo. Uno dei tropari del vespro è entrato anche come canto di offertorio della liturgia romana: Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è di­venuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mat­tino... Nei testi dell’ufficiatura ci viene offerta tutta una raccolta di immagini bibliche applicate alla Madre di Dio con un retroterra chiaramente cristologico: essa è celeste porta, trono di cherubini, nube di luce… Troviamo anche le tipiche e bellissime confessioni cristologiche adoperate per via di contrasto: Colui che portano i cherubini e cantano i serafini... ecco nelle braccia di Maria... nelle mani del santo vegliardo... E in riferimento a costui, a Simeone, troviamo ancora: ...portando la Vita, chiede di essere sciolto dalla vita...Inoltre questo stesso tropario si conclude con un riferimento direttamente pasquale: Lascia che io me ne vada, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli fatto bambino… L’ufficiatura del vespro prevede anche tre letture veterotestamentarie, prese la prima da Es 13 e Lv 12: la presentazione e consacrazione a Dio dei primogeniti, collegandola proprio alla festa della presentazione di Gesù nel tempio al quarantesimo giorno dalla sua nascita. Le altre due letture sono prese ambedue del profeta Isaia; dal capo 6 l'una, che narra la prima teofania che si manifesta al profeta con il tema della santità di Dio e l'acclamazio­ne dell'inno tre volte santo, e quindi la purificazione delle labbra di Isaia con il carbone preso dall'altare; ed infine la terza lettura, presa dal capo 12 di Isaia, con il riferimento all'uomo e all'altare messi tra gli egiziani -simbolo dei popoli pagani- e che porteranno -l'uomo e l'altare- la salvezza di Dio.

La stessa icona della festa ha come retroterra i testi di Es 13, la presentazione dei primogeniti, e soprattutto Lc 2,22-39: l'incontro di Gesù con Simeone. L'icona mette in luce particolarmente l'incontro di Dio con l'uomo e manifesta ancora una volta il mistero dell=Incarnazione. La distribuzione iconografia è molto chiara: Gesù bambino in centro, poi ai lati in un primo livello Maria e Simeone, ed in un secondo livello Giuseppe ed Anna. In fondo l'altare ed il baldacchino che lo copre, riprendendo la distribuzione tipica dell'altare cristiano: baldacchino, altare ed evangeliario sopra. Da sottolineare ancora la somiglianza di Simeone ed Anna, come disposizione e caratteristiche iconografiche, ad Adamo ed Eva nell'icona pasquale della discesa di Cristo agli inferi, con gli stessi sguardi di Simeone ed Adamo, e di Anna ed Eva verso Cristo sia nell’una che nell’altra delle icone. In quella del 2 febbraio è Simeone che si china per accogliere / abbracciare Cristo, in quella di Pasqua è Cristo che si china per accogliere / abbracciare Adamo. L'icona della festa dell'Incontro diventa l'annuncio dell'altro grande Incontro, quando l'Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per prenderne l'uomo vecchio, AdamoLa festa del 2 febbraio è una festa che ha un senso fortemente pasquale, e ne è un annunzio evidente. Gioisci, Madre-di-Dio Vergine piena di grazia: da te infatti è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio no­stro, che illumina quanti sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, o giusto vegliardo, accogliendo fra le braccia il libe­ratore delle anime nostre che ci dona anche la risurrezione.Questo tropario della festa che si conclude con la frase: ci dona anche la risurrezione, è molto vicino alla conclusione del tropario pasquale: ...e a coloro che sono nei sepolcri ha fatto il dono della vita. Icona / Festa dell'Incontro di Gesù bambino con l'anziano Simeone; icona / festa dell'Incontro di Dio, per mezzo dell'Incar­nazione del Figlio, con l'umanità, con ogni uomo, incontro che ha luogo nel Tempio, nella vita ecclesiale di ogni cristiano, di ognuno di noi.


di Manuel Nin. o.s.b.


giovedì 27 gennaio 2011

La spiritualità ecumenica e il patrimonio delle tradizioni locali




Sulla spiritualità ecumenica si è molto scritto, soprattutto negli ultimi anni, sottolineando l'importanza di riflettere su questa dimensione del dialogo, nel tentativo, più o meno esplicito, di ricercare nuove forme per proseguire un cammino non certo privo di difficoltà. In realtà l'approfondimento della spiritualità ecumenica nasce proprio dai tanti passi compiuti dal dialogo ecumenico, a vario livello, a partire dalla Conferenza missionaria di Edimburgo (1910). Per molti la spiritualità non è semplicemente un momento di dialogo, ma la strada privilegiata per comprendere il mistero dell'unità della Chiesa, grazie alla condivisione di tradizioni diverse nella consapevolezza della centralità della preghiera nel dialogo tra cristiani. E c'è l'idea che essa vada sviluppata all'interno di una comunità locale in modo da favorire la riscoperta del patrimonio di tradizioni nel quale convivono spiritualità diverse tra di loro, talvolta rimaste soffocate nei secoli nei quali è prevalsa la contrapposizione tra cristiani. Talvolta questo processo conduce al recupero di tradizioni precedenti all'arrivo del cristianesimo, mostrando così quanto di quel patrimonio sia ancora presente e come esso possa armonizzarsi con i valori cristiani. Si viene così a costruire un percorso di spiritualità ecumenica nella quale la rimozione dello scandalo della divisione favorisce un ripensamento critico di quanto è stato fatto per l'evangelizzazione, contribuendo a riflettere sulla missione della Chiesa una, chiamata a annunciare e testimoniare il Vangelo. Proprio per proseguire la riscoperta di questo patrimonio di tradizioni in una prospettiva ecumenica, il Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc) ha promosso un convegno internazionale che si svolge dal 22 al 27 gennaio a La Paz, in Bolivia, intitolato "Affirming Spiritualities of Live: Indigenous Peoples' Wisdom and Traditions in Theological Conversation". Si tratta di una riflessione che ha fatto tappa, a Baguio (2008) e a Ginevra (2009), seguendo le indicazioni emerse nell'assemblea di Porto Alegre: un ripensamento della missione della Chiesa alla luce delle tradizioni locali, una riflessione che gioca un ruolo importante, non solo nel dibattito sul documentoCalled to be one Church della commissione Fede e Costituzione, ma anche nel processo redazionale di una dichiarazione su missione e unità che dovrebbe essere discussa nella prossima assemblea generale del Wcc nel 2013.
Il convegno di La Paz assume un significato particolare in questo processo, tanto da segnare un salto qualitativo nella riflessione, dal momento che si vuole provare a costruire una spiritualità ecumenica che sappia tenere insieme le conoscenze e le tradizioni spirituali e teologiche delle comunità locali, mantenendo le peculiarità di ciascuno, con la riflessione ecumenica universale, in modo da non disperdere un patrimonio spirituale che spesso è stato ignorato dal cristianesimo. In tal modo si vuole valorizzare questo patrimonio di spiritualità collocandolo in un orizzonte ecumenico, nel quale scoprire la profonda sintonia su alcuni temi, come la salvaguardia del creato, che consentono di comprendere appieno le ricchezze delle tradizioni cristiane nell'incontro con le culture locali.
Non si vuole semplicemente procedere a una riscoperta delle tradizioni locali per comprendere quanto il cristianesimo, nel passato, si è fatto promotore di una cultura che non considerava le differenze delle ricchezze; con questo percorso, che si è venuto definendo anche grazie al contributo della commissione Fede e Costituzione, si vuole delineare una spiritualità ecumenica in grado di mostrare come i cristiani sappiano essere testimoni del Vangelo in un'opera missionaria che tenga conto delle peculiarità locali. La stessa scelta di La Paz risponde a questa prospettiva, dal momento che i partecipanti, da tutto il mondo, di tradizioni cristiane diverse, sono chiamati a confrontarsi con il patrimonio spirituale e culturale di un Paese nel quale sono ancora vive le tradizioni della popolazione indigena, che ha saputo trovare delle forme per far convivere il cristianesimo. Nelle giornate del convegno è stato dato ampio spazio alla presentazione dei progetti e dei risultati del Consiglio ecumenico delle Chiese nel campo della costruzione di una spiritualità in grado di esprimere la pluralità delle tradizioni cristiane. C'è stato poi un approfondimento delle diverse spiritualità, con una particolare attenzione al mondo religioso con il quale il cristianesimo è entrato in contatto nel corso dei secoli in America Latina. Infine, nei gruppi di lavoro, è stato ripreso quanto detto a livello assembleare nel tentativo di definire una comune piattaforma per la missione della Chiesa nella quale la conoscenza delle tradizioni locali sia parte di un patrimonio spirituale che favorisca la riconciliazione delle memorie, sulla strada dell'unità dei cristiani.

di Riccardo Burigana

lunedì 24 gennaio 2011

25 Gennaio: San Gregorio il Teologo, Arcivescovo di Costantinopoli




Questo Padre e Maestro della Chiesa nacque nel 330 ad Azianzo, nei pressi di Nazianzo, in Cappadocia, l'attuale Nemisi, in Turchia, da Gregorio e Nonna. Suo padre, convertitosi dal paganesimo, era diventato vescovo di Nazianzo. Gregorio ebbe un'ottima formazione, studiò prima a Cesarea di Cappadocia, poi ad Alessandria d'Egitto, e infine ad Atene, dove conobbe San Basilio il Grande, suo conterraneo, e con cui strinse una profonda amicizia. Rientrato in patria nel 357, ricevette da suo padre il santo battesimo all'età di trent'anni, così come era usanza allora, e poi si dedicò alla vita monastica, ritirandosi con San Basilio nel deserto del Ponto. Tempo dopo suo padre lo ordinò sacerdote della Chiesa di Nazianzo. Nel 371 San Basilio, ormai Vescovo di Cesarea, lo consacrò vescovo di Sasima, ma per diverse vicissitudini San Gregorio non ne prese mai possesso. Nel 379 fu chiamato ad aiutare la Chiesa di Costantinopoli, turbata dall'imperversante arianesimo, che allora aveva anche il sostegno politico. In questa occasione pronunciò mirabili discorsi a sostegno della fede trinitaria che gli valsero l'appellativo di “Teologo”. Nel 381 fu eletto vescovo di Costantinopoli, ma l'ostilità dell'ambiente fu, per il sensibile animo del Santo, insostenibile e lo portò rassegnare le dimissioni. Si ritirò nel paese natale, dedicandosi nuovamente allo studio e all'ascetismo. Si addormentò nel Signore nel 390. Delle opere del Santo sono giunti a noi i suoi discorsi e le poesie, testimonianze della sua brillante eloquenza e della sua conoscenza.


Ἀπολυτίκιο

Ὁ ποιμενικὸς αὐλὸς τῆς θεολογίας σου, τὰς τῶν ῥητόρων ἐνίκησε σάλπιγγας· ὡς γὰρ τὰ βάθη τοῦ Πνεύματος ἐκζητήσαντι, καὶ τὰ κάλλη τοῦ φθέγματος προσετέθη σοι. Ἀλλὰ πρέσβευε Χριστῷ τῷ Θεῷ, Πάτερ Γρηγόριε, σωθῆναι τὰς ψυχὰς ἡμῶν.


Apolitikion

Il flauto pastorale della tua teologia ha vinto le trombe dei retori: poichè a te che avevi scrutato le profondità dello Spirito, è stata aggiunta anche la bellezza dell'espressione. Intercedi dunque presso il Cristo Dio, o padre Gregorio, per la salvezza delle anime nostre.


venerdì 21 gennaio 2011

A piccoli passi verso l'unità


Pontificio Consiglio
per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

di Milan Zust

Nel dialogo tra cattolici e ortodossi non si tratta semplicemente di aspettare grandi eventi, come l'incontro del Papa con l'uno o l'altro patriarca, sebbene tali circostanze siano certamente proficue, se ben preparate. Spesso, nel cammino verso una sempre maggiore comunione tra i discepoli di Cristo, contano molto di più i piccoli passi, gli scambi a vari livelli, che pian piano ci avvicinano, ci aiutano a conoscerci meglio, a rispettarci di più e a liberarci dai numerosi pregiudizi accumulatisi nel corso dei secoli. Nell'anno appena trascorso sono stati compiuti molti passi avanti con diverse Chiese ortodosse, in modo particolare con la Chiesa ortodossa russa e con la Chiesa ortodossa serba. Non è il caso di enumerare tutti gli incontri che hanno avuto luogo, che sono stati tanti e a diversi livelli. Da una parte, se è vero che ricordarli servirebbe a sfatare il luogo comune secondo il quale "non succede mai niente", "siamo sempre allo stesso punto" e addirittura "si regredisce", dall'altra è forse preferibile che non se ne parli troppo, perché a volte le situazioni maturano meglio se lontane dalla spettacolarizzazione dei mass media e dalle speculazioni. Vogliamo comunque menzionare alcuni tra gli eventi più rilevanti per dimostrare che, malgrado tutto, qualcosa si muove.
In particolare, possiamo menzionare l'iniziativa delle Giornate della cultura e della spiritualità russa in Vaticano, promossa dallo stesso Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Kirill, tramite il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, e organizzata congiuntamente dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e dal Pontificio Consiglio della Cultura. Nei giorni 19 e 20 maggio 2010 si sono svolti a Roma due importanti eventi: un simposio sul tema "Cattolici e ortodossi oggi in Europa. Le radici cristiane e il comune patrimonio culturale d'Oriente e Occidente", presso la chiesa russa di Santa Caterina, e un concerto di musica sacra russa, alla presenza di Benedetto XVI, nell'aula Paolo vi. Il metropolita Hilarion, che nei giorni precedenti aveva visitato diverse città italiane e i rispettivi gerarchi cattolici, ha potuto incontrare anche alcuni capi di dicastero della Santa Sede. Gli eventi menzionati sono stati occasione di ulteriore scambio e hanno permesso di approfondire la conoscenza di alcuni aspetti della cultura e della spiritualità russa. Vanno poi menzionate le visite di gerarchi del Patriarcato di Mosca, in modo particolare del metropolita Hilarion, in Paesi a maggioranza cattolica, come anche di vescovi cattolici in Russia e in Ucraina, oltre ai pellegrinaggi, sempre più numerosi. Aumentano inoltre le possibilità di incontro tra i sacerdoti e i fedeli cattolici e ortodossi a causa della crescente emigrazione, anche in Italia, di cittadini ucraini e moldovi, prevalentemente ortodossi. Il fenomeno dell'emigrazione, pur comportando innegabili difficoltà, favorisce la conoscenza e la solidarietà, che permettono un crescente avvicinamento tra cristiani di confessioni diverse.

www. orientecristiano.com

martedì 18 gennaio 2011

Riflessioni......

Questa volta vorrei sottolineare una idea che è già molto diffusa nel rango ecclesiastico. I sacerdoti dei nostri giorni dicono sempre: "la gente ha dimenticato tutto e si è fissata sulla vita dei preti", criticandola a livello spirituale e fisico. Dico che questo pensiero esisteva già da tempi antichi, ma è stato molto di più ridotto perché i vescovi e gli igumeni vigilavano, non solo sul ritmo della vita spirituale dei loro sudditi, ma anche sul loro stile di vita: "Povertà, obbedienza e castità". Purtroppo, i nostri giorno riflettano un'altra verità, una brutta figura, delle virtù evangeliche che non sono rispettate dai nostri vescovi, sacerdoti, diaconi e seminaristi, che a loro volta non rispecchiano la vera immagine del sacerdozio, Cristo Sacerdote. Vivendo queste virtù a livello spirituale e pratico, non costa nulla per chi ha voluto dare la propria vita al servizio del popolo di Dio, perché la povertà non è solo una povertà materiale ma è di più, una povertà spirituale riflettendola sopratutto nel digiuno, come anche l'obbedienza che vivendola, ci rende soggetti ed oggetti di obbedienza basati sull'amore cristiano e sul vero servizio. Infine arriviamo alla virtù la più importante come viene vista oggi, ( ma che è infatti la più facile perché verrà data come grazia divina vivendo le altre ) è la castità che non deve essere soltanto corporale ma anche spirituale ove il sacerdote non tradisce la sua chiesa, allontanandosi dalla vita spirituale personale, celebrando i sacramenti come un impiegato che svolge il suo lavoro d’ufficio. No, non dobbiamo dire che la colpa è della gente, ma dobbiamo veramente riflettere e contemplare (non guardare) di più lo stile e il ritmo della nostra vita come seminaristi, preti o vescovi, perché tutto comincia dal primo grado, cercando di aver queste virtù come la fede, una convinzione, uno stile e ritmo di vita, così oltrepassiamo i bisogni materiali e cerchiamo di essere da vero esempio, prima di tutto veri cristiani, veri preti, Cristo tra la gente e per la gente. Senza tralasciare la legge ecclesiastica e le regole liturgiche come se fossero una cosa senza senso, vi esorto ad andare al di là dell’apparenze cercando l'amore e la comunione con Dio tramite queste regole fatte con amore e fedeltà dai nostri Santi Padri, per poter avvicinarci di più alla verità che ci riempirà d'amore, di sapienza e di felicità eterna. Infine vi ricordo della parola del nostro Signore Gesù Cristo:

"Dove sarà la tua mente sarà il tuo cuore", Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano.

Così rispondiamo all'invito di Cristo che ci ha detto:

"Io altresì vi dico: chiedete con perseveranza, e vi sarà dato; cercate senza stancarvi, e troverete; bussate ripetutamente, e vi sarà aperto".

di Michel Skaf, alunno P.C.G.

sabato 15 gennaio 2011

Budapest: 6 Gennaio Benedizione delle acque del fiume Danubio


Seguendo la tradizione orientale il 6 gennaio 2011 Sua Eccellenza Reverendissima Fülöp Kocsis, Eparca di Hajdúdorog ed Esarcha di Miskolc, per i fedeli di Rito Bizantino di Ungheria, ha ufficiato il Rito della Benedizione delle acque del fiume Danubio a Budapest.
Dopo aver pontificato la Liturgia nella chiesa di Fő utca nella capitale ungherese l’eparcha si è recato alla riva del Danubio con un folto gruppo di fedeli. Nell’omelia mons. Kocsis ha sottolineato il fatto che con il rito della benedizione l’intero mondo torna a Dio, l’intera umanità risplende con la luce del Signore.





venerdì 14 gennaio 2011

Beatificazione di Giovanni Paolo II, 1° Maggio prossimo


CITTA' DEL VATICANO, 14 GEN. 2011 (VIS). Il 1° maggio prossimo, Domenica II di Pasqua, della Divina Misericordia, Papa Benedetto XVI presiederà il rito di beatificazione di Giovanni Paolo II.

In una nota informativa della Congregazione delle Cause dei Santi si legge:

"Oggi, 14 gennaio 2011, Benedetto XVI, durante l'Udienza concessa al Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato lo stesso Dicastero a promulgare il Decreto sul miracolo attribuito all'intercessione del Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II (Karol Wojtyła). Questo atto conclude l'iter che precede il Rito della beatificazione.

Com'è noto, la Causa, per Dispensa Pontificia, iniziò prima che fossero trascorsi i cinque anni dalla morte del Servo di Dio, richiesti dalla Normativa vigente. Tale provvedimento fu sollecitato dall'imponente fama di santità, goduta dal Papa Giovanni Paolo II in vita, in morte e dopo morte. Per il resto furono osservate integralmente le comuni disposizioni canoniche riguardanti le Cause di beatificazione e di canonizzazione.

Dal giugno 2005 all'aprile 2007, furono pertanto celebrate l'Inchiesta Diocesana principale romana e quelle Rogatoriali in diverse diocesi, sulla vita, sulle virtù e sulla fama di santità e di miracoli. La validità giuridica dei processi canonici fu riconosciuta dalla Congregazione delle Cause dei Santi con il Decreto del 4 maggio 2007. Nel giugno 2009, esaminata la relativa 'Positio', nove Consultori teologi del Dicastero diedero il loro parere positivo in merito all'eroicità delle virtù del Servo di Dio. Nel novembre successivo, seguendo l'usuale procedura, la medesima 'Positio' fu poi sottoposta al giudizio dei Padri Cardinali e Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, che si espressero con sentenza affermativa.

Il 19 dicembre 2009 il Sommo Pontefice Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del Decreto sull'eroicità delle virtù.

In vista della Beatificazione del Venerabile Servo di Dio, la Postulazione della Causa presentò all'esame della Congregazione delle Cause dei Santi la guarigione dal 'morbo di Parkinson' di Suor Marie Simon Pierre Normand, religiosa dell''Institut des Petites Soeurs des Maternités Catholiques'.

Come di consueto, i copiosi Atti dell'Inchiesta canonica, regolarmente istruita, unitamente alle dettagliate Perizie medico-legali, furono sottoposti all'esame scientifico della Consulta Medica del Dicastero delle Cause dei Santi il 21 ottobre 2010. I suoi Periti, dopo aver studiato con l'abituale scrupolosità le testimonianze processuali e l'intera documentazione, si espressero a favore dell'inspiegabilità scientifica della guarigione. I Consultori teologi, dopo aver preso visione delle conclusioni mediche, il 14 dicembre 2010 procedettero alla valutazione teologica del caso e, all'unanimità, riconobbero l'unicità, l'antecedenza e la coralità dell'invocazione rivolta al Servo di Dio Giovanni Paolo II, la cui intercessione era stata efficace ai fini della prodigiosa guarigione.

Infine, l'11 gennaio 2011, si è tenuta la Sessione Ordinaria dei Cardinali e dei Vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, i quali hanno emesso un'unanime sentenza affermativa, ritenendo miracolosa la guarigione di Suor Marie Pierre Simon, in quanto compiuta da Dio con modo scientificamente inspiegabile, a seguito dell'intercessione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, fiduciosamente invocato sia dalla stessa sanata sia da molti altri fedeli".


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domenica 9 gennaio 2011

Messaggio di Natale del Patriarca di Mosca e tutte le Russie Kirill




Ai presuli, chierici, monaci e tutti i fedeli figli
della Chiesa Ortodossa Russa

Eminentissimi presuli, reverendi padri, venerandi monaci e monache, cari fratelli e sorelle,
in questa notte luminosa, riviviamo la gioia spirituale dell’incontro del mondo con il suo Salvatore. Vediamo di nuovo nel pensiero il Figlio del Dio vivente che dorme nella mangiatoia della grotta di Betlemme. Udiamo di nuovo nel nostro cuore la voce angelica che canta la lode al Creatore e Redentore: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli, pace sulla terra e per gli uomini benevolenza» (Luca, 2, 14). Attenti alle lodi delle forze celesti, diveniamo consapevoli che la Natività di Cristo è colma di un significato senza tempo e ha un senso immediato per il destino di ogni essere umano. Anche colui che non sa ancora nulla del sacrificio del Salvatore può fin da ora giungere alla conoscenza della Verità, divenire figlio di Dio ed ereditare la vita eterna. La Natività di Cristo ci rivela la verità su noi stessi e ci permette di comprendere e di assimilare questa verità. Ricordiamoci che il primo essere umano è stato plasmato perfetto dal Creatore, a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Genesi, 1, 26). Ma Adamo, avendo disobbedito al comandamento, ha alterato l’intenzione del Creatore a suo riguardo. Privata della relazione viva con Dio, l’umanità è sprofondata sempre più nell’abisso del peccato e dell’orgoglio. Allora il Signore, pieno d’amore per la sua creatura e desiderando la sua salvezza, ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito che ha ristabilito la pienezza della natura umana ed è divenuto il nuovo Adamo. Cristo ci ha dato l’esempio di una vita conforme al disegno divino per l’umanità. Questo esempio rappresenta l’orientamento pieno di speranza che ci aiuta a non smarrirci e a trovare l’unico cammino giusto che conduce alla pienezza di vita, sia nella nostra esistenza terrena sia nell’eternità. Noi seguiamo questo cammino di salvezza nella misura in cui rispondiamo alle chiamate di Dio. Una di queste chiamate a noi rivolte è contenuta in una lettera di san Paolo: «Glorificate Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, i quali appartengono a Dio» (1 Corinzi, 6, 20). Ciò significa che noi rendiamo grazie a Dio non solo con le preghiere e con il canto, ma anche con le buone opere per il bene del nostro prossimo, per il bene del nostro popolo, per il bene della Chiesa. Un simile sforzo diviene gioioso nel nome di Cristo, trasfigura realmente il mondo che ci circonda, e anche noi stessi. Le persone raggiungono la coesione operando non per obbligo, non per il profitto, ma mosse dal desiderio sincero di compiere un’opera buona e utile. In tal modo serviamo insieme il Creatore mettendo in pratica la sua volont?. La parola greca leitourgia è tradotta con «opera comune». E tutta la nostra vita deve divenire Liturgia, preghiera comune e opera comune compiute al fine d’incarnare nella vita il disegno di Dio per il mondo e per l’umanità e in tal modo rendere gloria e lode al Creatore. Ciò esige da noi la solidarietà con i nostri fratelli e le nostre sorelle attraverso la fede e anche con coloro che non hanno ancora trovato nel loro cuore il Signore, ma che, come i re magi del Vangelo, sono in cammino verso di lui. L’importanza dell’unione degli sforzi per superare le sofferenze e le disgrazie ci è stata mostrata in occasione degli incendi, della siccità e delle inondazioni dello scorso anno in Russia e anche in altri Paesi della Rus’ storica. Ancora una volta le circostanze ci hanno ricordato il nostro dovere di cristiani di aiutare il prossimo, indipendentemente dalle convinzioni, dalle nazionalit? e dalle situazioni sociali. Durante i mesi caldi dell’estate molte persone hanno generosamente condiviso le loro forze, il loro tempo e i loro beni con altre che non conoscevano neppure e che probabilmente non vedranno mai. In nome di cosa lo hanno fatto? In nome della compassione di fronte a quanti sono nella disgrazia, a quanti soffrono per le privazioni e hanno bisogno di aiuto. La solidarietà sociale e gli sforzi congiunti per raggiungere gli obiettivi comuni non sono possibili se non si supera l’egoismo, se non ci si sforza di volgersi al bene, se non si rifiuta di guardare solo ai propri bisogni e interessi. Alla base dell’autentica «unità dello spirito» (Efesini, 4, 3) c’è la legge dell’amore che ci ha lasciato in eredità il Salvatore. L’unità del popolo non può essere limitata ai momenti di prova. Essa deve divenire una parte inscindibile della nostra coscienza e della nostra vita nazionali. La forza dell’unità della Chiesa io l’ho sentita chiaramente in occasione dei miei numerosi viaggi nelle diocesi di Russia, Ucraina, Kazakhstan, Azerbaigian. Ovunque ho constatato la premura dei vescovi, del clero, dei monaci e delle monache, e dei laici, a lavorare per il bene dell’ortodossia, per perfezionare l’azione delle parrocchie, dei monasteri, delle diocesi. Ciò suscita la speranza di uno sviluppo pieno di successo della vita della Chiesa, in un spirito di unità e di collaborazione. Di tutto cuore, colmo di gioia, vi formulo i miei migliori auguri, eminenti vescovi, stimati sacerdoti, membri delle comunità monastiche, fratelli e sorelle, in occasione della grande festa salvifica della Nativit? di Cristo e dell’anno nuovo. Nella preghiera, auguro a tutti di essere ferventi esecutori della volont? di Dio, offrendo doni spirituali al Salvatore del mondo nato in questo giorno, affinché il suo nome sia glorificato in ogni tempo, ora e sempre e per i secoli dei secoli.

KIRILL,
Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, la Nativita di Cristo 2010/2011

sabato 8 gennaio 2011


La luce DELLA TEOFANIA

Teofane il Recluso




Celebrando la Teofania trasferiamoci con il pensiero nel luogo dove avvenne questo evento e con la mente comprenderemo ciò che là accadde. Ecco Vita vera! Voi vedete sulla riva san Giovanni vestito di pelle di cammello con una cintura attorno ai fianchi. Lo circonda un’enorme moltitudine di gente proveniente da Gerusalemme, Giudei, e da tutta la regione del Giordano. Il battesimo del Salvatore era appena avvenuto e gli sguardi di tutti erano rivolti al Figlio dell’Uomo che usciva dall’acqua. Oltre a questo la folla non vede. Ma aguzzate con la fede gli occhi della vostra mente e con Giovanni, evitando ciò che tutti vedono, fissate attentamente gli sguardi a ciò che non è visibile a tut­ti, al cielo aperto, alla colomba che da esso scende e volgete l’attenzione alla voce che era stata udita: Costui è il Figlio mio diletto, di cui mi sono compiaciuto! Fissate i vostri sguardi e non allontanate la vostra attenzione da questa visione meravigliosa. Oh, chi darà alle vostre parole la forza per celebrare degnamente la gloria di Dio che si è manifestata sul Giordano nelle Te Ipostasi. Assieme al paradiso perduto si erano chiusi i cieli per volontà della giustizia divina. Ma come neppure un forte sbarramento riesce a trattenere la violenza delle acque, così la forza della giustizia alla fine è venuta meno per effetto dell’ardore dell’amore di Dio ed ecco si sono aperti i cieli! Impegnamoci anche noi con tutte le forze della nostra natura ed accogliamo Dio che si è manifestato e saziamoci di lui. Nutriamo di lui tutti i sensi, tutti i nostri pensieri ed i nostri desideri. Noi siamo immersi nelle tenebre, ma ecco una luce sfolgoran­te! Siamo colpiti da una divisione che non ammette conforto, e con il cielo e con noi stessi. Ma ecco la riconciliazione che da vita a tutto. Noi siamo in preda alla mancanza di forze, ma ecco la fonte inesauribile di ogni forza. Così, come dopo una lunga tenebra notturna ogni cosa desidera la luce e tende ad accogliere i primi raggi del sole che sorge, an­che noi, volgendo alla Teofania gli occhi della mente illuminati dalla fede, accogliamo la luce, che apporta conforto, dell’economia divina della nostra salvezza, luce che scende per effetto della misericordiosa parola di Dio Padre e rallegriamoci di essa! Come un oggetto contratto dal freddo invernale con vivo desiderio va incontro alla primavera, che scioglie i vincoli del ge­lo, e di nuovo rivive, così anche noi, rinati per effetto della speranza della salvezza accogliamo nel cuore la riconciliazione che risplende nel Signore battezzato e rallegriamoci di essa. Come d’estate nel periodo della calura la terra assetata assorbe la pioggia che scende dal cielo, così anche noi con tutta l’anima accogliamo ogni energia pronta a riversarsi su di noi da parte dello Spirito che scende in forma di colomba e rallegria­moci di essa! Perché dobbiamo invitare noi stessi a ciò? Non siamo forse già introdotti nell’economia della salvezza? Non dobbiamo perciò noi tutti essere già illuminati, riconciliati e rivivificati! Magari fosse così! Una volta, ricordando Giovanni Battista, il Si­gnore disse in tono di rimprovero ai Giudei: Giovanni era la lampada accesa per illuminarvi, ma voi vi siete entusiasmati della sua luce solo per un po’ di tempo. Ecco ogni anno nella sua Chiesa il Signore riversa anche su noi la luce del­la Teofania sul Giordano. Così facendo dice anche a noi: “Ecco dove è la luce che arde ed illumina! Guardate, non vogliate che rallegrarvi nell’ora della sua illuminazione”. Osservate dunque come è pericoloso il vostro cammino. Non colpiscono alle volte le nostre orecchie grida ingannatrici provenienti dai nemici della nostra salvezza? La vana sapienza proclama: “Venite da me, io ho la luce”. Ma essa non ha la luce, ma solo un’illusione della luce; coloro che l’ascoltano, chiamano la luce tenebra e la tenebra luce. Il mondo chiama: “Venite da me, io vi darò la pace”. Ma esso non ha la pace, ma solo un fantasma della pace e coloro che da essa sono attratti, dopo aver smascherato ormai tardi la menzogna, tenacemente lo condannano dicendo: “La pace, la pace! E dove è la pace?”. Il principe di questo mondo promette spazi, vita, potenza ed abbondanza. Ma egli non ha né potenza, né libertà, né abbondanza, ma solo i loro fantasmi e quanti sono tratti in inganno da lui solo a parole hanno la vita, la libertà e la ricchezza, mentre in realtà sono schiavi e tormentati dalla mancanza di questi beni. Affrettatevi a conseguire l’abitudine di distinguere tutto ciò e nella luce della Teofania non vi fate trasportare da quel­lo che ha solo il nome di luce, pace e potenza, ma non lo è. Dirigete i vostri passi a Colui che è la via, la verità, la vita, la giustizia, la santificazione e la liberazione. Ecco, siamo quasi al giudizio ed alla condanna. E che fare, così vuole anche il Signore. Egli comandò alla sua Chiesa di ce­lebrare luminosamente la sua Teofania ed ha voluto introdurre ognuno di noi nella gioia della festa solo attraverso il giudizio della coscienza. Chi ha gustato i doni che la Chiesa celebra, si rallegra e chi non li ha gustati, lo faccia e si rallegrerà.

In: “Messaggero Ortodosso”, Roma, dicembre-gennaio 1984-1985, n. 21-1, p. 2-4.


venerdì 7 gennaio 2011



Domani Sabato 14/01/2011
presso il Pontificio Collegio Greco
si svolgerà l'annuale incontro del gruppo
Syriaca







giovedì 6 gennaio 2011

L'Epifania nell'innografia di Romano il Melode


Oggi Dio si lascia piegare dalla sua compassione


di Manuel Nin

Presente in tutte le tradizioni cristiane di oriente, l'Epifania è una festa liturgica che celebra la manifestazione del Verbo di Dio incarnato, in un contesto trinitario e cristologico. I testi liturgici del 6 gennaio riassumono i principali misteri della fede cristiana: quello trinitario, l'incarnazione del Verbo di Dio, la redenzione ricevuta nel battesimo. Evento, quest'ultimo, specialmente celebrato durante la liturgia della grande benedizione delle acque che ricorda e celebra il battesimo di Cristo e di ognuno dei fedeli cristiani.
I grandi innografi cristiani orientali hanno dedicato dei testi poetici alla contemplazione di questa celebrazione: Efrem (+373), Romano il Melode (+555), Sofronio di Gerusalemme (+638), Germano di Costantinopoli (+733), Andrea di Creta (+740), Giovanni Damasceno (+750), Giuseppe l'Innografo (ix secolo). Sono testi dove sono messi in evidenza lo stupore e la meraviglia del Battista e di tutta la creazione - gli angeli, il firmamento, le acque del Giordano - di fronte alla manifestazione umile del Verbo di Dio incarnato che si avvia a ricevere il battesimo da Giovanni.
Romano il Melode, nei suoi due kontàkia - poemi che per intero o in parte entreranno nell'uso liturgico delle Chiese bizantine - per la festa dell'Epifania mette in risalto alcuni aspetti teologici importanti. In primo luogo Romano accosta diverse volte la nudità di Adamo e del genere umano con il battesimo e il vestito nuovo lì indossato, vestito che è Cristo stesso: "Perciò noi, nudi figli di Adamo, riuniamoci tutti, rivestiamoci di lui per ricevere il suo calore! Riparo per i nudi e luce per quanti sono al buio tu sei venuto, sei apparso, luce inaccessibile".
Molto spesso per via di contrasto, l'innografo insiste sul fatto che la nudità di Adamo disubbidiente porta Dio, per poterlo salvare e per poterci salvare, a spogliarsi e farsi uomo, spogliato come Adamo: "Dio, con la sua santa voce chiamò il disubbidiente: Dove sei, Adamo? Voglio vederti! Anche se nudo sei, anche se povero sei, non avere vergogna, perché io mi sono fatto simile a te. Tu che volevi diventare Dio non ci sei riuscito: io invece mi sono fatto carne".
L'incarnazione del Verbo di Dio è paragonata da Romano a un grande abbraccio in cui Dio elargisce all'uomo la sua misericordia, con un retroterra molto chiaro della parabola del figlio prodigo: "Dalla mia compassione mi sono lasciato piegare, misericordioso quale sono, e mi sono avvicinato a ciò che ho plasmato, tendendo le mani per abbracciarti. Non provare vergogna dinanzi a me: per te che sei nudo io mi denudo e mi battezzo". L'autore quindi accosta la nudità dell'uomo all'incarnazione di Cristo vista come denudarsi e farsi uno di noi, con un gioco di parole tra il denudarsi dell'incarnazione e il denudarsi per il battesimo.
In diverse delle strofe del primo kontàkion, Romano fa parlare in forma dialogica Cristo e Giovanni Battista, come se fosse un dialogo in prosecuzione di quello della pericope evangelica del battesimo di Cristo nel Giordano. Da parte di Giovanni c'è lo stupore e la paura, mentre che da parte di Cristo c'è la forza e l'incoraggiamento: "Giovanni fu sconvolto dalla paura e disse: Fermati, o Salvatore, e non insistere: a me basta essere stato considerato degno di vederti! Che cosa richiedi a un uomo, tu, amico del genere umano? Perché chini il tuo capo sotto questa mia mano? Essa non è abituata a reggere il fuoco! Tu vieni da me, ma il cielo e la terra guardano se compirò l'atto temerario".
E Cristo risponde al Battista, il Precursore (pròdromos): "Tu hai un incarico da assolvere per me. Una volta ho mandato Gabriele e ha svolto bene il suo compito per la tua nascita: manda anche tu la tua mano come un angelo, per battezzare. Prestami soltanto la destra! Battezzami e attendi in silenzio ciò che avverrà". Il battesimo di Cristo è un dono dello Spirito a tutta la Chiesa affinché anch'essa diventi luogo di salvezza per i battezzati: "Io sto per aprire i cieli, far discendere lo Spirito e darlo in pegno. Battezzatore e contestatore, preparati non alla controversia ma al servizio! Io qui disegnerò per te la soave e splendente figura della Chiesa, accordando alla tua destra quel potere che poi attribuirò alle mani dei discepoli e dei sacerdoti".
In entrambi i kontàkia dell'Epifania, Romano accosta la nudità dopo il peccato di Adamo, spogliato dall'immagine di cui fu creato, alla nudità di Cristo incarnato e pronto a essere battezzato: "Giovanni contemplò con rispetto le membra ignude di colui che impone alle nuvole di avvolgere il cielo come un mantello, e vide in mezzo ai flutti colui che era apparso in mezzo ai tre fanciulli, la rugiada di fuoco".
Il Melode sviluppa ancora il tema e della nudità e della cecità di Adamo dopo il peccato, presentate come conseguenza della sua caduta: "Ad Adamo accecato nell'Eden è apparso un sole da Betlemme ed egli ha aperto le sue pupille, detergendole con le acque del Giordano. Quando Adamo per sua volontà perse la vista per aver assaggiato il frutto che rende ciechi, subito fu denudato: trovandolo cieco, colui che gli aveva tolto la vista lo privò dei vestiti. A tale vista colui che per natura è compassionevole si avvicinò a lui dicendo: Nudo ed accecato io ti accolgo".
Per Romano, quindi, l'incarnazione e il battesimo di Cristo sono realtà finalizzate a riportare e ricreare Adamo nella condizione di figlio: "Inneggia, inneggia a lui, o Adamo; adora colui che ti viene incontro! Mentre tu ti ritraevi, egli si è mostrato a te affinché tu potessi vederlo, toccarlo e riceverlo. Lui è sceso sulla terra per portarti lassù, è diventato mortale affinché tu potessi diventare dio e rivestirti della primitiva dignità, per riaprire l'Eden ha preso dimora a Nazaret".
Verso la fine del secondo dei suoi poemi, Romano riprende il tema del vestito bianco indossato dai battezzati, vestito intessuto dallo Spirito Santo nell'incarnazione del Verbo di Dio, divenuto agnello di Dio: "È stata ormai strappata la veste del lutto, abbiamo indossato l'abito bianco, intessuto per noi dallo Spirito col vello immacolato dell'Agnello e Dio nostro. Quale messaggio del Battista e quale mistero in esso! Chiama agnello il pastore, e non semplicemente agnello, ma agnello che libera dalle colpe".
Per il poeta le teofanie veterotestamentarie sono soltanto ombre, prefigurazioni della grande e piena teofania del Verbo di Dio nella sua incarnazione; esse si compiono pienamente nella nascita e nell'epifania del Logos divino, che diventa visibile agli occhi di tutti: "Quando Dio apparve ad Abramo si mostrò come un angelo. Ora invece è apparso a noi col suo vero aspetto, perché il Verbo si è fatto carne: allora l'oscurità, ora la chiarezza; ai padri le ombre, ai patriarchi le figure, ai figli invece la verità in persona! Colui che Ezechiele vide in forma umana su un carro di fuoco e Daniele come figlio d'uomo e antico di giorni, vecchio e giovane, proclamando solo Signore colui che è apparso e ha illuminato ogni cosa".
Una delle strofe, la prima del primo kontàkion sull'Epifania del Melode, è quella che è entrata nell'ufficiatura bizantina e che raccoglie tutta la teologia della festa: "Ti sei manifestato oggi al mondo, e la tua luce, o Signore, ha impresso il segno su di noi che, riconoscendoti, eleviamo a te il nostro inno: Sei venuto, sei apparso, luce inaccessibile".


(©L'Osservatore Romano - 6 gennaio 2011)

sabato 1 gennaio 2011

Circoncisione secondo la carne del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.

Il Nostro Signore e Dio, che conosce i cuori degli uomini e il futuro, volendo che fosse garantito l’avvenimento della sua Incarnazione, affinché nessuno degli eretici avesse avuto modo di dire, che era nato solo nella fantasia e che non aveva realmente preso la nostra carne cosa che invece molti degli eretici osarono dire, e inoltre per togliere ogni pretesto ai Giudei di poter dire, che egli non aveva vissuto secondo le loro usanze, e perciò per adempiere ogni comando della Legge, otto giorni dopo la sua incontaminata Nascita dalla Vergine, volle come ogni fanciullo, esser condotto nel luogo dove i Giudei avevano l’usanza di farsi circoncidere, e fu circonciso e fu chiamato Gesù, come era strato chiamato dall’Angelo, prima del suo concepimento nel grembo incontaminato della Madre di Dio. E ritornato di nuovo con i suoi genitori, fu allevato secondo il costume umano, avanzando nella sapienza, età e grazia.


Memoria del nostro padre S. Basilio il Grande


Basilio, il santissimo fra i nostri padri, visse al tempo dell’impero di Valente; questi accettava come vera l’eresia di Ario. Fu perciò ripreso con franchezza dal Santo; e per un poco lo convinse a rinnegare l’eresia, a meno che non avesse voluto vedersi rifiutato. Tuttavia non abiurò completamente all’eresia, anche se continuò ad andare in chiesa, quando il grande Basilio compiva la divina liturgia e si presentava per offrire i doni. Il grande Basilio fu figlio di Basilio del Ponto e di Eumelia di Cappadocia, e fu superiore nella sapienza e nella scienza a tutti, sia antichi che moderni. Particolarmente si distinse nella pietà, tanto da essere fatto sommo sacerdote della sede di Neocesarea. Quivi, dopo aver sostenuto molte lotte per la retta fede, suscitando l’ammirazione di imperatori e governatori, e aver scritto moltissimi libri e operato innumerevoli prodigi, in pace se ne andò presso il Signore.

ΜΕΓΑΣ ΒΑΣΙΛΕΙΟΣ - ΑΠΟΛΥΤΙΚΙΟ