mercoledì 6 agosto 2014

La Trasfigurazione





La Trasfigurazione del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.

Oggi la natura umana riacquista la sua antica bellezza…

            La festa della Trasfigurazione è una delle Dodici Grandi feste del calendario bizantino; ha un giorno di pre festa il 5 agosto, ed un’ottava che si conclude il 13 dello stesso mese. L’iconografia della festa, già a partire dal bellissimo mosaico del VI secolo nel monastero di Santa Caterina del Sinai, riprende la narrazione evangelica con il Signore trasfigurato al centro, avvolto di luce, Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi a guardare la luce abbagliante che viene dal Signore. L’ufficiatura della festa, in uno dei tropari, fa quasi una semplice parafrasi dell'icona, come se l’innografo leggesse l’icona componendo i suoi inni liturgici: “…il mistero nascosto dall’eterni­tà, lo ha negli ultimi tempi manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo la tua tremenda trasfigu­razione: essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti, oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accade­re. Una voce da parte del Padre dava testimonian­za, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compi­aciuto: ascoltate­lo, egli donerà al mondo la grande misericordia”.
            La liturgia bizantina, in questa festa, collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua passione: nella salita sul Tabor per primo e in quella sul Calvario dopo; anche per la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione, smarrita poi nell’ora della passione: “Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimen­to, grazie alla contemplazione delle tue meravi­glie non temessero di fronte ai tuoi patimen­ti… Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione…”. La trasfigurazione quindi vuol preparare e in qualche modo rafforzare i discepoli di fronte alla passione di Cristo, e allo stesso tempo è prefigurazione della sua risurrezione; uno dei tropari del vespro accosta ambedue i fatti salvifici, mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e quindi risorto: “Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti tra­sfi­guravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a ter­ra, non sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servi­zio con timore e tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria”.
            La presenza di Mosè ed Elia nella trasfigurazione la collegano anche alla teofania divina al monte Sinai, e allo stesso tempo essi diventano testimoni della sua divino umanità: “Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono ‘Colui che È’, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archeti­pa del­l’im­magine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi prean­nuncia­vano il suo esodo tramite la croce, e la salvifi­ca risurrezione”. Quindi troviamo tre testi veterotestamentari che sono presenti come filo conduttore dell'esegesi della festa, collegati alla figura di Mose il primo: “Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai… trasfiguratosi oggi sul monte Tabor…”; ad Elia il secondo, nella sua ascensione in 2Re 2: “Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cri­sto, l’autore della Legge e dei profeti e colui che li porta a compimento…”. A Davide il terzo nel testo del salmo 88,12-13: “Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davi­de, padre di Dio, convocava la creazione alla festa, esclamando profe­ticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno...”. La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la gloria della natura umana che viene rinnovata, redenta dal Signore della gloria: “… oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archeti­pa del­l’im­magine… Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfiguran­doti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscu­ratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità…”.
            Il cànone del mattutino della festa, opera di san Giovanni Damasceno (VII-VIII secoli) con delle immagini bellissime avvicina ambedue le teofanie, quella veterotestamentaria sul Sinai e quella neotestamentaria sul Tabor; da notare come la roccia che sul Sinai protegge Mosè dal morire alla visione divina, nella trasfigurazione lo protegge la stessa umanità di Cristo: “Mosè, sul mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco la gloria del Signo­re, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… Protetto dal corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua tra­sfigurazione… Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità…”.
            Il collegamento tra la trasfigurazione di Cristo e la sua passione, e la presenza di Mosè e di Elia porta infine l’innografo a riprendere la centralità del mistero della croce di Cristo già prefigurata nei fatti veterotestamentari: “Tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso… poi lo riunì su se stesso con frastu­ono… una verga è assunta come figura del mistero perché, con la sua fioritura per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della croce… o albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, Re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre”. 

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma.




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