giovedì 22 settembre 2011

I anniversario della scomparsa di Mons. Eleuterio F. Fortino


Archimandrita Mons. Eleuterio Fotino


Domenica 25 Settembre 2011, ore 10:30

Divina Liturgia in suffragio

Chiesa di Sant'Atanasio dei greci, via del babuino, roma

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Lunedì 26 , ore 12:30

S. Messa in suffragio
Chiesa dei SS. Martino e Sebastiano
Cappella della guardia Svizzera - Città del Vaticano

( Accesso: Porta Sant'Anna )



Eterna sia la sua memoria. - I përjetëshëm kloft kujtimi i tij




lunedì 19 settembre 2011

XIX Convegno Ecumenico Internazionale di spiritualità ortodossa




relazione del Metropolita Ortodosso Elpidophoros di Bursa


La Sacra Scrittura e la Spiritualità Ortodossa

Permettetemi innanzitutto di osservare che per lungo tempo all’interno degli ambienti teologici e oltre è prevalsa l’opinione secondo cui lo studio della sacra Scrittura non era sinonimo di spiritualità e, al contrario, la spiritualità non scaturisce dallo studio della sacra Scrittura ma piuttosto dalla partecipazione frequente alle sacre liturgie, dall’ascetismo monastico, dalla preghiera mentale, eccetera.

Tuttavia, dal momento che queste tendenze sono state ormai respinte sia in Oriente che in Occidente (1), vorrei cogliere quest’occasione per congratularmi con gli organizzatori per la felice combinazione di questi due elementi importanti – la spiritualità e la Scrittura – e procedere dunque con la trattazione del mio argomento.

Inizialmente e a guisa di introduzione vorrei affermare categoricamente che non vi può essere nessuna spiritualità e condotta di vita ortodossa vera e autentica che non sia basata sulla sacra Scrittura e non sia da essa ispirata. Senza alcun dubbio la sacra Scrittura costituisce la fonte, il principio e il fondamento di quella che è chiamata “spiritualità ortodossa”. La spiritualità ortodossa non consiste soltanto in belle idee, sublimi pensieri e gradevoli riflessioni; è piuttosto un ethos ecclesiale equilibrato e autentico, uno stile di vita puro, un comportamento retto, un atteggiamento e una condotta di vita precisi (2).

L’espressione “sacra Scrittura” (Ἁγία Γραφή) è la definizione più adeguata, familiare e preferita, adottata nella chiesa ortodossa, in contrasto con il termine “Bibbia”. La sacra Scrittura comprende la totalità dei libri conosciuti e ispirati dell’Antico e del Nuovo Testamento (3). I cinquanta libri dell’Antico Testamento sono divisi in libri storici, poetici, didattici e profetici. I ventisette libri del Nuovo Testamento sono divisi in libri storici, didattici e profetici o apocalittici.

L’apostolo Paolo parla di “sante Scritture” (Rm 1,2) e di “scritti sacri” (2Tm 3,15); egli osserva altresì: “Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16-17). Ispirata da Dio, la santa Scrittura è anche degna di fede e di considerazione, memorabile e certamente assolutamente degna di essere studiata. La santa Scrittura non contiene falsità, imprecisioni, inesattezze o “zone grigie”, come diremmo noi oggi. Si indirizza e si rivolge a ciascuno di noi in modo semplice per affidarci le grandi verità e i grandi misteri di Dio. Inoltre la santa Scrittura è autentica e contiene in abbondanza la grazia dello Spirito santo che preserva i suoi autori da qualsiasi resa erronea della rivelazione divina.

lunedì 12 settembre 2011

La festa dell’Esaltazione della Santa Croce nella tradizione bizantina.



Oggi la Croce porta l’Altissimo quale grappolo pieno di vita.


La festa del 14 di settembre porta come titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina: “Universale Esaltazione della Croce Preziosa e Vivificante”, ed ha un’origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore nel 335, ed anche con la celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell'imperatrice Elena e del vescovo Macario. La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina: tutti i mercoledì e venerdì dell'anno viene commemo­rata col canto di un tropario; inoltre si commemora anche la terza domenica di Quaresima e i giorni 7 maggio e 1 agosto. Nei testi liturgici bizantini la Croce viene sempre presentata come luogo di vittoria: di vittoria di Cristo sulla morte, di vittoria della vita sulla morte, luogo di morte della morte. La celebrazione liturgica del 14 settembre nella tradizione bizantina è preceduta da un giorno di prefesta il 13, in cui si celebra appunto la dedicazione della basilica della Risurrezione, e si prolunga con un’ottava fino al giorno 21 dello stesso mese di settembre. I testi dell’ufficiatura di questa festa mettono ripetutamente in luce il parallelo tra l’albero del paradiso nel libro della Genesi e l’albero della Croce: “Croce venerabilissima che le schiere angeliche circondano gioiose, oggi, nella tua esaltazione, per divino volere risol­levi tutti coloro che, per l’inganno di quel frutto, erano stati scacciati ed erano precipitati nella morte…”; “nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l’albero della croce, che porta agli uomini l’abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia…”; “La croce che ha portato l’Al­tissimo, quale grappolo pieno di vita, si mostra oggi ele­vata da terra: per essa siamo stati tutti attratti a Dio, e la mor­te è stata del tutto inghiottita. O albero imma­co­lato, per il quale gustiamo il cibo im­mortale dell’Eden, dando gloria a Cristo!”. Uno dei tropari dell’ufficiatura vespertina, con delle immagini veramente toccanti e teologicamente profonde, riassume tutto il mistero della salvezza che ci viene dalla Croce di Cristo: “Venite, genti tutte, adoriamo il legno benedetto per il quale si è realizzata l’eterna giustizia: poiché colui che con l’albero ha ingannato il progenitore Adamo, viene adesca­to dalla croce, e cade travolto in una funesta caduta… Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente, ed è annullata la maledizione della giusta condanna per l’ingiu­sta condanna inflitta al giusto: poiché con un albero bisognava risanare l’albero, e con la passione dell’impas­si­bile di­strug­gere nell’al­bero le passioni del condannato”. Ancora in un altro dei tropari, l’incarnazione di Cristo, Dio nella carne, è presentata come l’esca che nella Croce attira e vince il nemico: “O albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, Re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre”. Diversi dei testi liturgici fanno una lettura cristologica dei tanti passi dell’Antico Testamento che la tradizione dei Padri e delle liturgie cristiane di Oriente e di Occidente hanno letto ed interpretato come prefigurazioni del mistero della Croce del Signore: Giacobbe che benedice con le mani incrociate, il passaggio del Mare Rosso colpito dal legno di Mosè, le braccia di costui innalzate mentre il popolo lotta contro Amalek, il profeta Giona ancora che prega con le mani alzate nel ventre del mostro marino: “Tendendo le mani in alto e mettendo in rotta Amalek, Mosè ha prefigurato te, o Croce preziosa…”; “Ciò che Mosè prefigurò un tempo nella sua persona, mettendo cosí in rotta Amalek ed abbattendolo, ciò che Davide cantore ordinò di venerare come sgabello dei tuoi piedi, la tua Croce preziosa, o Cristo Dio”; “Tracciando una croce, Mosè, col bastone ver­ticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riuní su se stesso volgendolo contro i carri di faraone, di­segnando, orizzontalmente, l’arma invincibile”; “Nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiara­mente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappre­sentò la risurrezione del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo”. Alla fine dell’ufficiatura del mattutino, ha luogo il rito dell’esaltazione e la venerazione della santa Croce. Durante il canto della dossologia, il sacerdote prende dall’altare il vassoio che contiene la Croce preziosa collocata in mezzo a foglie di basilico, l’erba profumata che secondo la tradizione era l’unica a crescere sul Calvario e che attorniava alla Croce al momento del suo ritrovamento, colloca il vassoio sulla sua testa e in processione lo porta fino a davanti la porta centrale dell’iconostasi e nel bel mezzo della chiesa. Lì, dopo il canto del tropario: “Salva, Signore, il tuo popolo, e benedici la tua eredità…”, lo depone su un tavolino, fa tre prostrazioni fino a terra e, prendendo in mano la Croce con le foglie di basilico, guardando ad oriente, la innalza sopra il proprio capo, poi l’abbassa fino a terra ed infine traccia il segno di croce, mentre i fedeli cantano per cento volte l’invocazione “Kyrie eleison”. Questa grande benedizione il sacerdote la ripete in direzione ai quattro punti cardinali e quindi di nuovo verso l’oriente, intercalando ad ogni parte una piccola litania in cui si invoca la misericordia e la benedizione del Signore sulla Chiesa e sul mondo intero. Al termine il sacerdote innalza la croce e canta il tropario: “Tu che volontariamente sei stato innalzato sulla croce, dona, o Cristo Dio, la tua compassione, al popolo nuovo che porta il tuo nome…”, e con essa benedice il popolo segnando una croce. Poi, deposta la Croce di nuovo sul tavolino, canta il tropario: “Ado­riamo la tua croce, Sovrano, e glorifichiamo la tua santa risurrezione”, e tutto il popolo fedele passa a venerare la Croce e ricevendo delle foglie di basilico, a ricordare anche il buon profumo del Cristo risorto che i cristiani siamo chiamati a testimoniare nel mondo. Questa grande venerazione della Croce e la sua simbologia, riassume quindi i grandi temi teologici trovati nei testi della liturgia della festa: la Croce collocata nel bel mezzo della Chiesa come il nuovo albero nel bel mezzo del nuovo paradiso; la Croce come luogo da dove sgorga la salvezza e la vita per tutta la Chiesa. L’icona della festa presenta la figura del vescovo Macario innalzando la santa Croce, con dei diaconi attorno; alcune delle icone introducono anche l’imperatrice Elena tra i personaggi. L’icona rappresenta proprio la celebrazione liturgica del giorno con la grande benedizione e venerazione della Croce Preziosa e Vivificante.

P. Manuel Nin osb

Pontificio Collegio Greco


APOLITIKION

Σῶσον Κύριε τὸν λαόν σου καὶ εὐλόγησον τὴν κληρονομίαν σου, νίκας τοῖς Βασιλεῦσι κατὰ βαρβάρων δωρούμενος καὶ τὸ σὸν φυλάττων διὰ τοῦ Σταυροῦ σου πολίτευμα.

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Salva, o Signore, il tuo popolo e benedici la tua eredità, concedi ai regnanti vittoria sui barbari e custodisci con la tua Croce il tuo regno.




martedì 6 settembre 2011

Il kontakion di Romano il Melodo per la festa della Natività della Madre di Dio


Oggi Anna la sterile partorisce Maria, il nido del Signore…


La Natività della Madre di Dio è una delle feste mariane più arcaiche, di origine gerosolimitana, testimoniata già nel IV secolo ed introdotta a Costantinopoli nel VI secolo e a Roma nel VII. I testi dell'ufficiatura nella tradizione bizantina della festa riprendono delle composizioni di autori gerosolimitani: Stefano (VI secolo) o costantinopolitani: Sergio e Germano (VII-VIII secoli). Sono dei testi che sottolineano e la preghiera di Gioacchino ed Anna nell’angoscia per la loro mancanza di discendenza, e la grande gioia per la nascita di Maria. Romano il Melodo (VI secolo) ha un kontakion per la festa della Natività della Madre di Dio. Non si tratta di un testo molto lungo, soltanto undici strofe più una di introduzione, che è quella che poi è entrata nel mattutino della festa nella tradizione bizantina. In questa strofa introduttiva l’autore riassume i temi che poi svolgerà lungo l’intero testo, e soprattutto il mistero che la festa stessa celebra e contempla: Maria stessa, che viene cantata con i titoli di “Madre di Dio… Immacolata… nutrice del genere umano”; quindi la sua nascita che è fonte di gioia e di liberazione per due coppie, quella di Gioacchino ed Anna, liberati dalla vergogna della sterilità, e quella di Adamo ed Eva liberati dalla morte: “O Immacolata, con la tua nascita Gioacchino ed Anna furono liberati dalla mortificazione della sterilità, Adamo ed Eva dalla corruzione della morte… la sterile partorisce la Madre di Dio e la nutrice della nostra vita”. Questo ultimo versetto viene poi ripreso come conclusione di ognuna delle undici strofe del kontakion. La tristezza e la sofferenza di Gioacchino ed Anna per la loro mancanza di discendenza, e la grande gioia per la nascita di Maria saranno il filo conduttore di tutto il kontakion. Il mistero della nascita di Maria e dell'incarnazione del Verbo di Dio nel suo grembo porta la gioia a Gioacchino ed Anna, riporta in paradiso Adamo ed Eva. L’autore nelle due prime strofe sottolinea appunto la mancanza di discendenza di Gioacchino ed Anna e la loro preghiera fervente per ottenere il dono e la benedizione di Dio: la preghiera di Gioacchino avviene sul monte, quella di Anna nel giardino (il testo greco utilizza la parola “paradiso”); con queste due immagini sembra che Romano voglia evocare dei luoghi che poi Cristo stesso fa diventare luoghi della sua propria preghiera: “La preghiera ed il lamento di Gioacchino ed Anna per la mancanza di figli trovarono accoglienza, giunsero all’orecchio del Signore e fecero germogliare un frutto portatore di vita per il mondo… L’uno sul monte recitava la sua preghiera, l’altra nel giardino sopportava la sua umiliazione…”. In queste strofe è Maria che viene cantata, e Romano raccoglie i titoli che la tradizione patristica e liturgica danno alla Madre di Dio: “frutto portatore di vita”, “tempio santo”. Tre altre strofe contemplano e riassumono sia la nascita di Maria sia il suo ingresso nel tempio, due misteri celebrati dalle Chiese cristiane appunto l’8 settembre ed il 21 novembre. Gioacchino ed Anna offrono nel tempio i doni prescritti dopo la nascita di Maria: “Gioacchino aveva già recato doni al tempio, ma non erano stati graditi…: era privo di discendenza. Ma nel tempo opportuno egli presenta la Vergine con i doni di ringraziamento insieme ad Anna… Gioacchino invitò alla preghiera sacerdoti e leviti e condusse Maria in mezzo a loro…”. La quinta strofa del poema riassume tutto il mistero dell'ingresso e la vita di Maria nel tempio, dove lei vive ed è nutrita dalle mani di un angelo, e dove entra accompagnata da dieci vergini con le lampade accese tra le mani. Quindi, servendosi dell'immagine del ruscello che sgorga dal tempio in Ezechiele 47,1ss, Romano sottolinea come, grazie alla presenza di Maria il tempio stesso diventa luogo da dove sgorga la vita: “Un flusso di vita hai fatto sgorgare per noi, tu che avesti il dono di essere nutrita nel santuario da un angelo… tu che sei santa fra i santi, e tempio e nido del Signore. Le vergini condussero la Vergine con lampade prefigurando il Sole che ella diede ai credenti…”. Oltre all’immagine del “tempio”, Romano applica a Maria quella di “nido del Signore”. Dalla sesta all’ottava strofa troviamo la preghiera di ringraziamento di Anna. Il dono di Dio per la nascita di Maria la fa simile all’altra Anna per la nascita di Samuele il profeta; costui nel servizio diventa sacerdote del Signore, Maria diventa Madre del Signore: “Tu hai dato ascolto a me, o Signore, come a quella Anna… Ella offrì il figlio Samuele affinché servisse come sacerdote il Signore, e tu anche a me hai fatto un dono… Grande è la mia ventura perché ho generato una figlia che genererà il Signore Dio prima dei secoli, Colui che dopo il parto conserverà la madre vergine come è… Sarà lei, o Misericordioso, la tua porta per la discesa dall’alto dei cieli…”. In questa settima strofa Romano riassume tutto il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio e della verginità di Maria. Romano il Melodo si trattiene ancora a narrare l’incontro ed il fidanzamento di Maria e Giuseppe: “Maria ora risplende al volgere delle stagioni e rimane nel tempio dei santi. Vedendola nel fiore della giovinezza, Zaccaria per indicazione della sorte la pone sotto l’autorità del fidanzato Giuseppe, suo promesso sposo per volere divino. Ella è donata a lui mediante un bastone mosso dallo Spirito Santo”. Nella decima strofa poi Romano elenca, parlando sempre di Maria, tutta una serie di titoli che la collegano direttamente col mistero della salvezza adoperato da Cristo nella sua incarnazione: “Il tuo parto, o Anna veneranda, è benedetto perché hai partorito la gloria del mondo, l’agognata mediatrice per il genere umano. Ella è muraglia, fortezza e rifugio di quanti in lei confidano. Ogni cristiano ha in lei protezione, riparo e speranza di salvezza…”. Il kontakion finisce con una preghiera a Dio Creatore dell'universo e dell'uomo con la sua Parola e la sua Sapienza, lui l’unico amico degli uomini, misericordioso, protettore e pastore del suo gregge.

P. Manuel Nin,

Rettore Pontificio Collegio greco, Roma






Un “soddisfatto” Bartolomeo I spera nella riapertura della scuola di Chalki


Per il patriarca ecumenico di Costantinopoli, il ritorno delle proprietà sequestrate dal governo turco è un gesto di giustizia e di riparazione per le illegalità del passato. Egli ha domandato passi ulteriori ed Erdogan gli ha risposto: Questo è solo l’inizio. Imminente la riapertura della scuola teologica di Chalki, chiusa da Ankara nel 1971.


Istanbul (AsiaNews) – Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ha espresso grande soddisfazione per la decisione del premier Tayep Erdogan di restituire le proprietà sequestrate dopo il 1936 a tutte le minoranze non islamiche. Allo stesso tempo, incontrando il primo ministro turco, egli ha espresso la speranza che vi siano “passi ulteriori”. Erdogan ha risposto “ Questo è solo l’inizio”. Il patriarca spera con forza che ritorni alla Chiesa ortodossa la scuola teologica di Chalki e che venga riaperta l’accademia, fatta chiudere dal governo turco nel 1971. Quasi ad anticipare la possibilità dell’apertura, Bartolomeo ha già nominato mons. Elpidoforos Lambrinidis, metropolita di Bursa, come priore del monastero di Agia Triada (SS Trinità), e direttore degli studi: la scuola teologica di Chalki appartiene infatti al monastero. Dopo tante pressioni della comunità internazionale e soprattutto dell’Unione europea, il governo di Erdogan ha pubblicato un decreto con cui si restituisce alle minoranze greco-ortodosse, armene, ebree e altri gruppi non islamici, migliaia di proprietà che il governo turco aveva loro ingiustamente sottratto o sequestrato, contravvenendo ai loro impegni internazionali. La decisione ha sapore storico perché fa cambiare la visione delle minoranze religiose di Ankara, dopo oltre 70 anni. Ieri il patriarca ecumenico si è recato alla Madonna di Souda per la festa della Sacra Zona di Nostra Signora. La chiesa dove egli ha celebrato si trova a ridosso dell’antica muraglia bizantina nella città. Nella sua omelia, Bartolomeo I ha per la prima volta commentato la decisione del governo. “Oggi è un giorno molto particolare - ha introdotto il patriarca - perché i festeggiamenti avvengono a pochi giorni dall’annuncio della restituzione delle proprietà da parte del governo turco, sottratteci ingiustamente dopo il 1936. É un momento di grande gioia non soltanto per noi cristiani ortodossi, ma per tutte le minoranze che vivono da secoli su queste terre” “Meglio tardi che mai” ha esclamato, e ha aggiunto: “Se la Turchia si ritiene uno Stato di diritto, tutto deve realizzarsi nel contesto della giustizia e non dell’illegalità”. Alcuni commentatori sottolineano questa frase perché essa inquadra l’iniziativa di Erdogan, non come un atto di favore verso le minoranze non musulmane, ma come un atto di ripristino per un’ingiustizia perpetrata ai loro danni, malgrado gli impegni e gli accordi internazionali assunti dai precedenti governi turchi e mai rispettati. Bartolomeo ha infine riferito che nell’esprimere la sua soddisfazione, gioia e ringraziamenti ad Erdogan, ha voluto ricordargli che “tutti sono in attesa di ulteriori passi significativi verso le minoranze non musulmane”. Il premier gli ha risposto: “Questo è solo I’inizio”. Intanto il patriarca ecumenico ha nominato proprio ieri il nuovo priore del monastero di Agia Triada (SS Trinità), al quale appartiene la scuola teologica di Chalki. Il nuovo priore è mons. Elpidoforos Lambrinidis, metropolita di Bursa. Egli sarebbe destinato ad assumere la direzione degli studi di Chalki, non appena la scuola verrà riaperta. Negli ambienti diplomatici si vocifera che questa nomina fa presagire la probabile ed imminente riapertura della scuola teologica di Chalki, perchè - si dice – “Erdogan vuole chiudere tutte le pendenze con le minoranze non musulmane, retaggio dei governi del vecchio establishment”. Le scelte a favore delle minoranze non islamiche mostrano il premier impegnato in una nuova geopolitica mediorientale. Il gesto ulteriore della riapertura di Chalki lo riqualificherebbe ancora di più non solo agli occhi degli occidentali, ma in tutta l’area.