martedì 31 gennaio 2012

La festa dell'Incontro del Signore nell'innografia e l’iconografia bizantina.



Icona del'Incontro di Cristo. Menologio di Basilio II, X sec. Biblioteca Apostolica Vaticana


Oggi l’Antico dei giorni diventa Bambino…

Le Chiese orientali celebrano la festa del 2 febbraio come una delle dodici grandi feste dell'anno liturgico. Testimoniata già da Egeria nella seconda metà del IV secolo. Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad Alessandria, ad Antiochia ed entra a Costantinopoli nel 542. Alla fine del VII secolo viene introdotta a Roma da un papa di origini orientali Sergio I (687-701), che vi introdurrà anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Si tratta di una festa i cui testi liturgici sottolineano l'incontro tra l'umanità -rappresentata dai vegliardi Simeone ed Anna-, e la divinità –lo stesso Cristo Signore. L’iconografia della festa è abbastanza sobria e con poche varianti nelle diverse tradizioni cristiane in cui è rappresentata, dai mosaici romani di Santa Maria in Trastevere, all’iconografia balcanica, alle icone greche e slave. Sostanzialmente l’icona riprende il passo evangelico di Luca 2, con i cinque personaggi della narrazione: Cristo, Maria e Simeone come figure centrali; Giuseppe e Anna come figure in secondo piano. In un posto rilevante dell'icona vediamo l’altare del tempio vestito con le tovaglie e sormontato da un ciborio e spesso anche attorniato da un cancello, che fa del tempio dell'’antica alleanza il tempio cristiano e quindi la presentazione di Gesù al tempio nel quarantesimo giorno della sua nascita diventa la festa dell'Incontro dell'antica, invecchiata umanità con l’uomo nuovo nell’umanità di Cristo. Ancora a livello iconografico, in alcune delle rappresentazioni è Maria che porta il bimbo nelle sue braccia, mentre in altre icone è Simeone che lo sorregge. L’iconografia di Simeone ricevendo o sorreggendo il Bambino ci porta anche al momento del Grande Ingresso nella Divina Liturgia bizantina, in cui il vescovo, alla porta del santuario riceve dal sacerdote i doni preparati del pane e del vino per deporli sull’altare. I tropari dell'ufficiatura della festa nella tradizione bizantina appartengono ai grandi innografi bizantini: Giovanni Damasceno, Germano di Costantinopoli, Cosma di Maiuoma, Andrea di Creta; essi cantano soprattutto le tre figure centrali della rappresentazione iconografica e della festa stessa. In diversi dei tropari Simeone, come il vescovo nella Chiesa, accogliendo Cristo diventa anche colui che professa la fede della Chiesa: “Ora sono stato liberato, perché ho visto il mio Salvatore. Questi è colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uo­­mo… Si apra oggi la porta del cielo, il Verbo eterno del Padre, assunto un principio temporale, senza uscire dalla sua divinità, è presentato per suo volere al tempio della Leg­ge da Vergine Madre… e il vegliardo lo prende tra le braccia, gridando come servo al Sovrano: Lascia che me ne vada, perché i miei occhi han­no visto la tua salvezza. Tu che sei venuto nel mondo per salvare il genere umano”. La professione di fede dei quattro primi concili ecumenici viene messa nella bocca di Simeone; anche nella tradizione bizantina al momento della presentazione del candidato all’ordinazione episcopale, costui professa la sua fede davanti alla Chiesa che lo accoglie come vescovo con tre professioni di fede legate al quattro primi concili ecumenici. Simeone stesso in uno dei tropari diventa tipo di Cristo nella sua discesa agli inferi per salvare, liberare Adamo: “Ora lascia che io me ne va­da, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli senza mutamento fatto bambino…”. Diversi dei tropari sottolineano come il Bambino presentato al tempio è anche Colui che aveva parlato nell’Antico Testamento; in qualche modo la liturgia mette in rilievo che Colui che dava la legge, adesso la ubbidisce anche: “Accogli, Simeone, colui che Mosè vide in pre­cedenza, nella caligine, quando gli dava la Legge sul Sinai, e che ora, divenuto bambino, si assoggetta alla Legge… Questi è colui che Davide annuncia; que­sti è colui che ha parlato nei profeti, colui che si è in­car­nato per noi e che parla nella Legge…”. L’incontro tra l’umanità invecchiata simboleggiata da Simeone ed Anna e la nuova umanità in Cristo, fa riprendere in parecchi dei tropari il testo di Daniel 7,9 in cui si parla del vegliardo, dell'Antico dei giorni, un versetto che i Padri e la liturgia stessa hanno letto sempre in chiave cristologica: “L’Antico di giorni, divenuto bambino nella carne, è porta­to al santuario dalla Madre Vergine… È bambino per me l’Antico di giorni; il Dio puris­simo si sottopone alle purificazioni, per confermare che è realmente la mia carne quella che dalla Vergine ha assunto. Simeone, iniziato ai misteri, rico­nosce Dio stesso, apparso nella carne…”. Colui che la visione del profeta vede come un vegliardo “Antico dei giorni” adesso appare “Bambino nuovo” come lo canta la liturgia del Natale a due vegliardi nel tempio. Maria la Madre di Dio viene sempre presentata nei testi liturgici come colei che regge, che porta Cristo. Tre sono i tropari nella seconda parte del vespro bizantino che si trattengono nella figura di Maria. Il primo di questi tre è anche entrato nell’ufficiatura romana della festa odierna come antifona “Adorna thalamum tuum Sion”; sono diversi i titoli cristologici dati in questo testo alla Madre di Dio: celeste porta, trono, nube di luce: “Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è di­venuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mat­tino…”. Sempre nell’ufficiatura del vespro troviamo un lungo tropario di Andrea di Creta in cui le braccia portanti del Cristo non sono già quelli di Maria bensì quelli del vegliardo Simeone; ambedue pero, Maria e Simeone, sono sempre tipo della Chiesa che sorregge, porta Cristo agli uomini. Questo tropario introduce, si potrebbe dire in modo discreto, la figura di Giuseppe, discreta anche nella stessa iconografia. Riportiamo il testo intero del tropario: “Colui che è portato dai cherubini e celebrato dai sera­fi­ni, presentato oggi nel sacro tempio secondo la Legge, ha per trono le braccia di un vegliardo; per mano di Giuseppe riceve doni degni di Dio: sotto forma di una coppia di tor­tore, ecco la Chiesa incon­taminata e il nuovo popolo eletto delle genti, insieme a due piccoli di colomba per signi­fi­care che egli è principe dell’antico e del nuovo patto. Si­meo­ne, acco­gliendo il compimento dell’oracolo che aveva ricevuto, benedice la Vergine Madre-di-Dio Maria, simbo­li­camente predicendole la passione di colui che da lei era nato, e a lui chiede di essere sciolto dalla vita, gri­dan­do: Ora la­scia che me ne vada, o Sovrano, come mi ave­vi predetto, per­ché io ho visto te, luce sempiterna, e Signore Salvatore del popolo che da Cristo prende nome”. Discreta la figura di Giuseppe sia nell’iconografia che nell’innologia –è presente in un unico tropario-; discreta anche quella della profetessa Anna, presente soltanto in un tropario del giorno 3 febbraio, quando la liturgia celebra i due vegliardi: “Anna divinamente ispirata e il felicissimo Simeone, risplendenti per la profezia, divenuti irreprensibili nella Legge, vedendo il datore della Legge apparso bambino come noi, lo hanno ora adorato: con grande gioia cele­bria­mo dunque oggi la loro memoria…”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma


La catechesi di Benedetto XVI al Cammino Neocatecumenale.


Christustotus, caput et corpus…


I Padri della Chiesa -Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo, Teodoro di Mopsuestia-, nelle loro catechesi prebattesimali predicate soprattutto durante la Quaresima, introducevano, si potrebbe dire portavano per mano i catecumeni –cioè coloro che si preparavano a ricevere il battesimo nella notte di Pasqua-,li guidavano a scoprire, conoscere e memorizzare la fede cristiana attraverso la professione di fede –il Credo-, e dando loro un modello di preghiera –il Padrenostro. Durante tutto questo periodo di preparazione, nell’attesa del battesimo che, come tutti i sacramenti, è un dono che si riceve, che si accoglie un’unica volta nella grande Chiesa, nel suo grembo che rigenera; i catecumeni erano iniziati alla fede, all’ascolto e alla comprensione della Parola di Dio, e partecipavano soltanto alla prima parte della celebrazione dei Santi Misteri. Dopo il Vangelo infatti –e di questo abbiamo una testimonianza ancora oggi nelle Liturgie Orientali- il diacono congedava i catecumeni, intimava loro di uscire dalla chiesa, mettendoli in qualche modo in attesa –gioiosa attesa!- di partecipare un giorno all’unico sacrificio di Cristo, quello celebrato la notte di Pasqua dal vescovo nella grande ed unica madre Chiesa che nel battesimo li aveva rigenerati in Cristo. Perciò i catecumeni, accolti nella chiesa al canto del versetto paolino “Tutti quelli che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo, alleluia”, non venivano più chiamati “catecumeni” bensì “neofiti” –cioè innestati, inseriti. Dove? In Cristo nell’unica e grande Chiesa; e da quel momento partecipavano pienamente ai Santi Misteri che erano –e sono- non una tappa nel catecumenato bensì la pienezza dell'’appartenenza di tutti i fedeli cristiani alla vita di Cristo nella Chiesa.

Sulla scia dei grandi Padri della Chiesa,delle loro catechesi e delle loro mistagogie, possiamo collocare l’allocuzione –catechesi- di Benedetto XVI ai membri del Cammino Neocatecumenale (CN) dello scorso 20 gennaio; udienza, che lo stesso Papa situa nell’insieme di udienze da lui concesse con scadenza annuale ai fondatori e membri di questo movimento. Si tratta di una lezione di teologia liturgica valida ed utile per il CN e per tutta la Chiesa. Il Papa sin dall’inizio sottolinea il valore dell'impegno missionario e di evangelizzazione del CN, impegno che deve essere fatto sempre –e il Papa lo ricorda per ben due volte- in comunione con tutta la Chiesa e con il Successore di Pietro…; cercando sempre una profonda comunione con la Sede Apostolica e con i Pastori delle Chiese particolari nelle quali siete inseriti… Si direbbe che il vescovo di Roma non dimentichi mai il suo ruolo di principio di comunione con tutti i pastori della Chiesa Cattolica: l’unità e l’armonia del Corpo ecclesiale sono una importante testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel mondo…Benedetto XVI, da buon pastore ancora e giustamente, non si risparmia nel mettere in luce la generosità e lo sforzo missionario del CN, ed anche le difficoltà che spesso trova nel suo impegno evangelizzatore, e nell’incoraggiare i suoi membri, sacerdoti, laici, famiglie intere a continuare nello zelo di annunciare ovunque, anche in luoghi molto lontani dal cristianesimo, il Vangelo, sempre nell’amore a Cristo e alla Chiesa.

Dopo le parole introduttive, il Papa spiega il senso dell'approvazioneper il CN di quelle celebrazioni che non sono strettamente liturgiche , ma fanno parte dell'itinerario di crescita della fede. Benedetto XVI ricorda al CN e a tutta la Chiesa che le celebrazioni liturgiche sono quelle approvate dalla Chiesa nei diversi testi del magistero del vescovo di Roma o dei vari Concili Ecumenici che hanno regolato ed approvato la liturgia della Chiesa. Il Papa mette in evidenza come l’approvazione delle celebrazioni presenti nel “Direttorio Catechetico del CN” vada letta strettamente vincolata al sensusEcclesiae e in sintonia con le esigenze della costruzione del corpus Ecclesiae. Il Papa mostra il suo cuore di pastore della Chiesa che comprende la vostra ricchezza, ma guarda anche alla comunione e all’armonia dell'’intero Corpus Ecclesiae. Ancora una volta, lungo il pontificato di Benedetto XVI, vediamo Pietro come fondamento di comunione e di unità nella Chiesa.

Quanto detto prima, sul ruolo e l’impegno nell’annuncio del Vangelo del CN e sull’approvazione delle celebrazioni non strettamente liturgiche previste dal Direttorio Catechetico, offre a Benedetto XVI l’occasione per parlare del valore della liturgia. In fondo il Papa si intrattiene col CN parlando della liturgia, cioè di quella realtà della vita ecclesiale che precisamente non ha nessuna necessità di specifica approvazione perché già esaminata ed approvata dalla Sede romana e dallo stesso Vaticano II. Il Papa non pretende di “spiegare” cos’è la liturgia, bensì ne vuol mettere in luce il “valore”, cioè quello che essa ha di centrale e di valido nella vita della Chiesa e di ogni cristiano. Volendo fissare dei principi chiari nel suo ragionamento, Benedetto XVI inizia la sua riflessione da SacrosantumConcilium 7: la liturgia… opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa…Mette al centro della sua catechesi l’anno liturgico che non soltanto ricorda ma celebra, fa presente ed attuale con una forza veramente epicletica tutto il mistero di Cristo per e nella Chiesa: La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù non sono solo avvenimenti storici; raggiungono e penetrano la storia, ma la trascendono e rimangono sempre presenti nel cuore di Cristo. Nell’azione liturgica della Chiesa c’è la presenza attiva di Cristo Risorto che rende presente ed efficace per noi oggi lo stesso Mistero pasquale, per la nostra salvezza; ci attira in questo atto di dono di Sé che nel suo cuore è sempre presente e ci fa partecipare a questa presenza del Mistero pasquale.La Chiesa, quindi, celebrando il mistero di Cristo ne diventa il suo corpo; e Benedetto XVI corrobora la sua riflessione citando Sant’Agostino: Questa opera del Signore Gesù, che è il vero contenuto della Liturgia… è anche opera della Chiesa, che, essendo suo corpo, è un unico soggetto con Cristo –“Christustotus caput et corpus”.

Fedele alla tradizione catechetica e mistagogica dei Padri della Chiesa, Papa Benedetto situa l’eucaristia come culmine della vita cristiana; essa è la piena comunione con Cristo attraverso il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, e con la Chiesa che a sua volta ne è anche corpo e suo custode. Le Chiese Orientali, fedeli all’antica tradizione cristiana, celebrano sempre i sacramenti dell'iniziazione cristiana tutti e tre insieme: battesimo-cresima-eucaristia. Il culmine del cammino catecumenale che finisce col battesimo nella notte di Pasqua è la partecipazione –nella piena comunione della Chiesa- ai Santi e Divini Misteri. Il Papa, citando gli statuti del CN che contemplano anche l’eucaristia come una sorta di catecumenato post battesimale, situa questa particolare visione dell'eucaristia soprattutto in vista di favorire il riavvicinamento alla ricchezza della vita sacramentale da parte di persone che si sono allontanate dalla Chiesa, o non hanno ricevuto una formazione adeguata. È come se il Papa volesse in fondo ricondurre l’eucaristia da una visione e un contesto di catecumenato verso quel contesto di mistagogia vera e propria che le è specifico. In tal modo intende ricondurre anche l’eucaristia celebrata dal CN o da qualsiasi altro gruppo o movimento ecclesiale, al contesto ecclesiale fuori dal quale la celebrazione stessa dei Divini Misteri si vedrebbe privata dal suo fondamento cristologico ed ecclesiologico: …ogni celebrazione eucaristica è un’azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa. Questo carattere pubblico della Santa Eucaristia si esprime nel fatto che ogni celebrazione della Santa Messa è ultimamente diretta dal Vescovo come membro del Collegio Episcopale, responsabile per una determinata Chiesa locale. Benedetto XVI ancora una volta ribadisce il ruolo –unico ed insostituibile- del vescovo come custode e liturgo della Chiesa. La liturgia non appartiene –magari adattata, modificata, fatta a propria misura- a nessuno, si tratti di persone o gruppi o movimenti, ma appartiene alla Chiesa stessa avendo come garante colui che per l’imposizione delle mani ha ricevuto la pienezza del dono dello Spirito Santo, per pascere il gregge, per essere colui che “veglia dall’alto” –questo è il senso vero e proprio del termine episkopos. Oserei dire che la liturgia, in qualsiasi Chiesa cristiana d’Oriente e d’Occidente vada rispettata ed accolta quasi come i Santi Doni che si ricevono come tali, come doni, non come qualcosa che ognuno si prende o di cui si serve a propria misura e piacimento.

Concludendo la sua catechesi, il Papa ricorda al CN – e a tutti i membri della Chiesa- la necessaria fedeltà ai libri liturgici che sono lo strumento che regola la celebrazione liturgica, evita qualsiasi arbitrarietà e soggettivismo e che in fondo è al servizio della comunione ecclesiale che ne deriva. Il necessario inserimento nella piena vita ecclesiale viene ancora sottolineato dal Papa: Al tempo stesso, la progressiva maturazione nella fede del singolo e della piccola comunità deve favorire il loro inserimento nella vita della grande comunità ecclesiale, che trova nella celebrazione liturgica della parrocchia, nella quale e per la quale si attua il neocatecumenato, la sua forma ordinaria.Infine Benedetto XVI ribadisce, infine, il filo conduttore di tutto il suo intervento: Ma anche durante il cammino è importante non separarsi dalla comunità parrocchiale, proprio nella celebrazione dell’Eucaristia che è il vero luogo dell’unità di tutti, dove il Signore ci abbraccia nei diversi stati della nostra maturità spirituale e ci unisce nell’unico pane che ci rende un unico corpo.

La teologia, la liturgia, la comunione ecclesiale. Ecco tre argomenti che stanno a cuore a Papa Benedetto. Nel testo del 20 gennaio sono trattati da teologo? Sì, ma soprattutto da mistagogo che sa portare per mano i fedeli alla vera comprensione dei misteri, nella piena comunione con Cristo nella Chiesa.

P. Manuel Nin Pontificio Collegio Greco Roma

domenica 22 gennaio 2012

Non per galateo ma per obbedienza all'unico Signore



di ANDREA PALMIERI
Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani

Il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa prosegue il suo cammino nel contesto di una fitta trama di rapporti personali e istituzionali, che, nell'anno da poco trascorso, hanno conosciuto un ulteriore sviluppo e una nuova profondità. Si tratta del dialogo della vita che comprende visite fraterne, come, a esempio, quella dell'arcivescovo di Nea Giustiniana e tutta Cipro Chrysostomos II a Papa Benedetto XVI che ha avuto luogo lo scorso marzo, ma anche scambi di delegazioni, collaborazioni in diversi campi, contatti epistolari. Tutto ciò, lungi dall'essere espressione di un semplice "galateo" ecumenico, contribuisce in maniera efficace alla formazione di una più matura interiorità dei singoli, ma anche delle stesse Chiese, in quanto si superano le antiche barriere e i vecchi pregiudizi.
Un momento di particolare visibilità del progresso di queste relazioni fraterne è stato la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, celebrata ad Assisi il 27 ottobre scorso. La presenza di numerosi rappresentanti provenienti da altre Chiese e comunità ecclesiali - tra i quali, per quanto riguarda le Chiese ortodosse, vi erano il Patriarca ecumenico Bartolomeo, l'arcivescovo di Tirana e tutta l'Albania, e delegati dei patriarcati di Alessandria, Antiochia, Mosca, Serbia, Romania e delle Chiese ortodosse di Cipro e Polonia - ha manifestato in maniera visibile la comune preoccupazione per le sorti dell'umanità. Il potere testimoniare insieme il proprio anelito per la pace e la giustizia nel mondo, in questi tempi difficili nei quali per molti aspetti regnano la frammentazione e l'individualismo, rappresenta una conquista del movimento ecumenico, che nella sua espressione più profonda è obbedienza all'unico Signore. In questo contesto, il dialogo teologico, condotto dalla Commissione mista internazionale, ha ripreso il suo lavoro attraverso le strutture di cui tradizionalmente si avvale, quali le sottocommissioni e il comitato di coordinamento, con l'intento di superare gli ostacoli emersi nel corso della sessione plenaria di Vienna. La sessione plenaria di Vienna (2010) era stata dedicata allo studio, già avviato nel precedente incontro di Cipro (2009), della questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio, sulla base di un testo elaborato dal Comitato misto di coordinamento nel 2008. Con questo testo si intendeva proseguire la riflessione sul tema del primato nella Chiesa universale, inaugurata con la sessione plenaria di Ravenna (2007). In quella sede, la Commissione aveva approvato e pubblicato un documento dal titolo Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità, nel quale cattolici e ortodossi affermavano insieme, per la prima volta, la necessità di un primato al livello di Chiesa universale e concordavano sul fatto che questo primato spettava alla sede di Roma e al suo vescovo, mentre riconoscevano ancora aperta la questione relativa al modo di comprendere e all'esercizio di questo primato, nonché ai fondamenti scritturistici e teologici.
Sulla base di quanto affermato nel documento di Ravenna, la Commissione aveva elaborato un progetto di lavoro, secondo il quale l'attenzione si sarebbe concentrata innanzitutto sul primo millennio quando i cristiani di Oriente e Occidente erano uniti. Il Comitato misto di coordinamento aveva quindi redatto una bozza di documento, che, seguendo una metodologia prevalentemente storica, prendeva in considerazione una serie d'eventi e di fonti patristiche e canoniche che mostravano che, nel periodo in oggetto, la Chiesa di Roma aveva un posto distinto tra le Chiese e aveva esercitato una particolare influenza in materia dottrinale, disciplinare e liturgica.
Tuttavia, al termine della sessione plenaria di Vienna, malgrado l'impegno profuso, non era stato possibile trovare un accordo per la pubblicazione di un documento comune. Alcuni membri ortodossi consideravano il testo in esame sbilanciato verso la posizione cattolica in quanto privo di riferimenti alle altri grandi sedi ecclesiastiche della Chiesa antica e al loro ruolo nei Concili ecumenici. Altri esprimevano la loro perplessità di fronte alla possibilità di approvare un testo di carattere essenzialmente storico da parte di una commissione teologica. Dopo una lunga discussione, la delegazione cattolica accettò la proposta di considerare il testo come uno strumento di lavoro da utilizzare per le successive tappe del dialogo. Animati dalla ferma volontà di continuare il dialogo sulla strada aperta dal documento di Ravenna, i membri della Commissione decidevano di affidare a una sottocommissione il compito di preparare la bozza di un nuovo documento da sottoporre in seguito allo studio del Comitato di coordinamento, in vista di una futura sessione plenaria da convocare appena possibile. In particolare, si stabiliva che il nuovo testo dovesse prendere in considerazione il tema del primato nel contesto della sinodalità da una prospettiva più marcatamente teologica.
Facendo seguito a queste decisioni, una sottocommissione mista si è riunita dal 13 al 17 giugno 2011 a Rethymno (Creta, Grecia) su invito del metropolita ortodosso del luogo, Eugenios. Alla riunione, presieduta dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e dal metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), del Patriarcato ecumenico, erano presenti sei rappresentanti cattolici e quattro ortodossi provenienti da diverse Chiese autocefale (Patriarcato ecumenico, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Chiesa di Cipro). All'inizio dell'incontro, un cattolico e un ortodosso hanno presentato testi che esprimevano il loro rispettivo punto di vista sul tema del rapporto teologico ed ecclesiologico tra primato e sinodalità. Di fatto, però, i due testi seguivano una differente metodologia: quello cattolico, facendo ampio riferimento alla storia della teologia, presentava la dottrina cattolica del primato nel quadro dell'ecclesiologia eucaristica; quello ortodosso, partendo da un approccio sistematico-speculativo del mistero trinitario, cristologico ed eucaristico, si proponeva di spiegare la necessità di un primato a livello universale da esercitare nel contesto della sinodalità. Si rivelava, pertanto, particolarmente ardua l'impresa di preparare un testo comune condiviso. Per evitare che la riunione si concludesse senza portare a termine il compito affidato, la sottocommissione decideva di utilizzare come base della discussione il testo proposto dagli ortodossi, proponendo degli emendamenti per ampliarne la prospettiva. Si riusciva in tal modo a produrre un testo da sottoporre allo studio del Comitato misto di coordinamento.
La riunione del Comitato misto di coordinamento ha avuto luogo a Roma dal 21 al 26 novembre 2011. Tale organismo era composto da nove membri cattolici e da nove ortodossi (Patriarcato ecumenico, Patriarcato di Alessandria, Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Serbia, Patriarcato di Romania, Chiesa di Cipro, Chiesa di Grecia) sotto la presidenza del cardinale Koch e del metropolita Ioannis. Nel corso della riunione i lavori sono proceduti molto lentamente. L'impostazione sistematico-speculativa della bozza del documento, ereditata dal testo preparatorio proposto dalla parte ortodossa, suscitava non poche riserve in alcuni membri cattolici. A questo si aggiungeva il fatto che non tutti i membri ortodossi si riconoscevano in ciò che nel documento in esame veniva presentato come la posizione ortodossa sul primato al livello della Chiesa universale, rendendo complicato per i cattolici comprendere il punto di vista ortodosso. A motivo di queste difficoltà, il Comitato di coordinamento non ha potuto completare lo studio della bozza di documento, ma ha fissato un nuovo incontro per il prossimo anno al fine di proseguire la revisione del documento, chiedendo nel frattempo a un piccolo gruppo di redazione di riscrivere alcuni paragrafi problematici.
Un caloroso invito a proseguire sulla strada del dialogo con fiduciosa speranza, malgrado la consapevolezza delle difficoltà del momento, è stato espresso da Papa Benedetto XVI, nel discorso pronunciato davanti ai membri della delegazione del Patriarcato ecumenico in visita a Roma per la festa dei santi Pietro e Paolo, lo scorso giugno: "Seguiamo con grande attenzione il lavoro della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. A uno sguardo puramente umano, si potrebbe essere presi dall'impressione che il dialogo teologico fatichi a procedere. In realtà, il ritmo del dialogo è legato alla complessità dei temi in discussione, che esigono uno straordinario impegno di studio, di riflessione e di apertura reciproca. Siamo chiamati a continuare insieme nella carità questo cammino, invocando dallo Spirito Santo luce e ispirazione, nella certezza che egli vuole condurci al pieno compimento della volontà di Cristo: che tutti siano uno (Giovanni, 17, 21)". A sua volta, il Patriarca ecumenico Bartolomeo, rivolgendosi alla delegazione della Santa Sede in visita a Costantinopoli in occasione della festa di sant'Andrea, il 30 novembre scorso, tra le altre cose affermava: "Il lavoro di questa Commissione è lungi dall'essere semplice, poiché i problemi che si sono accumulati nel corso di molti secoli, in seguito al reciproco estraniamento e talvolta alla disputa tra le due Chiese, esigono uno studio e una riflessione attenti. Tuttavia, con la guida del Consolatore, con buona volontà da entrambe le parti e il riconoscimento del nostro dovere dinanzi al Signore e agli uomini, si arriverà agli esiti auspicati, quando il Padrone della vigna lo riterrà opportuno". Nel corso del 2011, dunque, il superamento degli ostacoli incontrati nella plenaria di Vienna è riuscito solo in parte. Il raggiungimento di un consenso condiviso tra cattolici e ortodossi sulla cruciale questione del primato al livello della Chiesa universale richiede ancora molto impegno da parte della Commissione mista. Alla complessità del tema che è stato per secoli al centro del contenzioso tra la Chiese di Oriente e di Occidente, si aggiunge la necessità di una laboriosa riflessione sulla metodologia con cui si tratta l'argomento. La consapevolezza delle differenze che si sono sviluppate nel corso dei secoli, che sembrano riguardare il modo stesso di fare teologia, non deve tuttavia far dimenticare che cattolici e ortodossi condividono la preziosa eredità del patrimonio di fede e delle discipline ecclesiastiche della Chiesa del primo millennio. In maniera significativa, il Santo Padre, incontrando i rappresentanti delle Chiese ortodosse e orientali ortodosse presenti in Germania, durante il viaggio apostolico in quella nazione il 24 settembre 2011, affermava: "Senza dubbio, fra le Chiese e le comunità cristiane, l'Ortodossia, teologicamente, è la più vicina a noi; cattolici ed ortodossi hanno conservato la medesima struttura della Chiesa delle origini; in questo senso tutti noi siamo "Chiesa delle origini", che tuttavia è sempre presente e nuova. E così osiamo sperare, anche se da un punto di vista umano emergono ripetutamente difficoltà, che non sia troppo lontano il giorno in cui potremo di nuovo celebrare insieme l'Eucaristia". È con questa convinzione che cattolici e ortodossi devono continuare il dialogo teologico per chiarire le differenze teologiche il cui superamento è indispensabile per il ristabilimento della piena unità, che è la meta per la quale si sta lavorando. Si tratta, come si è visto, di un impegno che in questo momento non sembra facile, ma che è irrinunciabile perché corrisponde alla volontà di Dio, nella fondata speranza che lo Spirito Santo, secondo i suoi imperscrutabili disegni, porterà a compimento.

(©L'Osservatore Romano 19 gennaio 2012)

giovedì 5 gennaio 2012

Il Battesimo del Signore



L’acqua non significa molto per noi oggi. È uno dei comfort essenziali della vita, accessibile, automatico, a buon mercato. Aprite il rubinetto ed eccola lì... Tuttavia, per migliaia d’anni l’acqua è stata un simbolo religioso primario, e per capire il perché dobbiamo recuperarne il senso cosmico quasi completamente estinto. Per il mondo antico, l’acqua non era inferiore al simbolo della vita stessa, e del mondo come vita... L’acqua è veramente un presupposto essenziale per la vita. Si può stare senza cibo per lungo tempo, ma senz’acqua una persona morirà molto rapidamente, possiamo così dire che gli esseri umani sono per natura esseri assetati. Senz’acqua, la pulizia è impossibile, quindi l’acqua è anche simbolo di pulizia e di purezza. L’acqua come vita e come purezza, ma anche bellezza, potenza e forza, come noi la vediamo riflettere ed assorbire, per così dire, il cielo blu infinito. Tutto questo descrive la percezione o l’esperienza dell’acqua che l’ha posta al centro del simbolismo religioso. Entrate in una chiesa alla vigilia dell’Epifania, mentre viene celebrata la “Grande benedizione delle acque”. Ascoltate le parole delle preghiere e gli inni, prestate attenzione al rito, e sentirete che qui c’è più che un mero antico rituale; esso ha qualcosa da dire a noi oggi, così come ha fatto un migliaio di anni fa, sulla nostra vita e la nostra sete perpetua ed inestinguibile per la purificazione, la rinascita, il rinnovamento... In questa celebrazione l’acqua diventa ciò che è stata il primo giorno della creazione, quando “la terra era informe e deserta e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque” (Genesi 1, 2). Le parole del servizio riecheggiano tutto ciò nella lode e nel ringraziamento: “Grande sei tu, o Signore, e meravigliose sono le tue opere, e non ci sono parole che bastino a inneggiare le tue meraviglie...”. Ancora una volta, un inizio. Ancora una volta, l’umanità si trova di fronte al mistero dell’esistenza. Ancora una volta, facciamo esperienza del mondo con gioia e vediamo la sua bellezza e l’armonia come dono di Dio. Ancora una volta, rendiamo grazie. E in questo ringraziamento, lode e gioia, ancora una volta diveniamo veri esseri umani. La gioia dell’Epifania consiste nel recupero di un’esperienza cosmica del mondo, nel recuperare la fede che tutto e tutti possono sempre essere lavati, purificati, rinnovati, rinati, e che, indipendentemente da come la nostra vita sia stata sporcata e offuscata dal fango, non importa dentro quale pantano abbiamo potuto rotolare, noi abbiamo sempre accesso ad un torrente purificatorio di acqua viva, perché la sete dell’umanità per il cielo, per la bontà, per la perfezione e la bellezza non è morta, né può mai morire. In effetti, questa sete solamente ci rende esseri umani. “Grande sei tu, o Signore, e meravigliose sono le tue opere, e non ci sono parole che bastino a inneggiare le tue meraviglie...”. Chi ha detto che il cristianesimo è deprimente e cupo, morboso e triste, e strappa via gli esseri umani dalla vita? Guardate i volti degli adoratori questa notte, e vedete la luce e la gioia che brilla mentre ascoltano il salmo tonante la sua esultanza, “La voce del Signore è sopra le acque” (Salmo 29, 3), mentre guardano il sacerdote che asperge spruzzi d’acqua benedetta in tutta la Chiesa, e quelle gocce scintillanti volano come in tutto l’intero mondo, facendo di quel mondo ancora una volta, una possibilità e una promessa, la materia prima per un miracolo misterioso di trasformazione e di trasfigurazione. Dio stesso è entrato in quest’acqua in forma di un uomo, si è unito, non solo con l’umanità, ma con tutta la materia, e l’ha resa tutta radiosa, un torrente portatore di luce che scorre verso la vita e la gioia. Ma niente di tutto questo può essere vissuto o percepito senza pentimento, senza un profondo cambiamento di coscienza, senza la conversione della mente e del cuore, senza la possibilità di vedere tutto sotto una nuova luce. Era proprio questo il pentimento predicato da Giovanni il Battista e che ha permesso di vedere Gesù avvicinarsi al fiume Giordano, e amorevolmente accettarlo come Dio stesso, che dall’inizio del tempo ha amato il genere umano e ha creato il mondo intero per noi come immagine del suo amore, della sua eternità e della sua gioia.

del protopresbitero Alexander Schmemann

Απολυτίκιον