martedì 28 febbraio 2012

Quaresima 2012: Messaggio di S.Santità Bartolomeo Patriarca Ecumenico di Costantinopoli




+ B A R T O L O M E O

PER GRAZIA DI DIO

ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI – NUOVA ROMA

E PATRIARCA ECUMENICO

A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA, GRAZIA E PACE DA GESU’ CRISTO SIGNORE E SALVATORE NOSTRO E DA PARTE NOSTRA PREGHIERA, BENEDIZIONE E PERDONO


“Con letizia accoglieremo fedeli, il messaggio divinamente ispirato del digiuno”


Amati Fratelli in Cristo e Figli nel Signore,

Durante l’ultimo periodo si osserva un aumento delle inquietudini. Spuntano molti problemi. Il mondo soffre e cerca aiuto. Attraversiamo di fatto una prova generale. Altri la chiamano regressione economica, altri crisi politica. Per noi è una devianza spirituale. Ed esiste una terapia. Si danno molte soluzioni e si sentono opinioni. Ma i problemi restano.
L’uomo si sente abbandonato e solo. Viene ignorata la sua più profonda natura. Resta nella amarezza di una mancanza di chiarezza e della disperazione.
Le soluzioni proposte, se mai hanno una qualche direzione o esito, non redimono l’uomo, in quanto fin dall’inizio lo lasciano prigioniero della corruzione e della morte. La Chiesa è il Signore Teantropo, il liberatore delle nostre anime. Entrando l’uomo nello spazio della Chiesa, entra nel clima della divina invocazione, della riconciliazione del cielo e della terra. Viene nel proprio. Calma il suo spirito. Trova una bellezza celestiale ed una maturità spirituale “di ispirata soavità che riempie i confini del mondo”. La Chiesa conosce tutte le cose per cui soffriamo. Ed ha la forza di liberarcene. Ci chiama alla conversione. Non abbellisce la menzogna, né nasconde le cose brutte. Dice tutta la verità. Ed esorta l’uomo ad affrontare la realtà così com’è. A prendere coscienza che siamo terra e cenere.
Nel Grande Canone di San Andrea vi è una parola per le lacrime della conversione ed il pianto del lutto, il dolore delle ferite. Ma segue il riposo dell’anima e la salute dello spirito. C’è il Creatore e Salvatore nostro. Egli stesso per la grandezza della sua misericordia ci ha posto al confine della incorruttibilità e della mortalità. Non ci ha abbandonato. E’ venuto e ci ha salvati. Ha distrutto con la Sua Croce la morte. Ha donato a noi la incorruttibilità della carne.
Dal momento che siamo connaturali a Cristo, perché siamo inutilmente turbati? Perché non accoriamo a Lui? La Chiesa non fa commenti sulla corruzione, né ci abbandona ad essa. Conosce le più profonde inclinazioni dell’uomo e viene come soccorritore e redentore nostro. Abbiamo bisogno del nutrimento. Ma “non di solo pane vive l’uomo” (Mt. 4,4). Abbiamo bisogno della comprensione spirituale, ma non siamo incorporei. Nella Chiesa troviamo la pienezza della vita e della comprensione , quale equilibrio teantropico (divino-umano). Lontano da Dio l’uomo si peggiora e si fuorvia.
Lì dove abbondano i beni materiali e si divinizza lo spreco, prosperano le tentazioni degli scandali e la confusione delle tenebre. Lì dove l’uomo vive con timore e accoglie tutto con riconoscenza e gratitudine, tutte le cose vengono santificate. Il poco viene benedetto in quanto sufficiente e il corruttibile si riveste dello splendore della incorruttibilità. L’uomo accoglie ciò che è momentaneo come un dono di Dio. E si nutre col pegno della vita futura fin da oggi. Non solo si risolvono i problemi, ma anche le pene delle prove si trasformano in una forza di vita e in un motivo di glorificazione. Quando ciò avviene dentro di noi, quando l’uomo trova la sua personale tranquillità e salvezza nell’affidarsi in tutto a Cristo Dio, allora si illumina la sua mente. Conosce se stesso e l’intero mondo. Ha fiducia nell’amore del Potente. Questo fatto sostiene lo stesso fedele. E si trasmette per mezzo di un irraggiamento invisibile, come aiuto a tutti coloro che hanno fame e sete della verità.
Tutto quanto il mondo ha bisogno della salvezza del suo Artefice e Creatore. Tutto quanto il mondo ha bisogno della presenza della fede e della comunione dei Santi. Ringraziamo dunque il Signore e Dio nostro per tutte le sue beneficenze e per l’attuale periodo della Santa Quaresima.
Ecco un tempo gradito, ecco un tempo di conversione.
Passiamo allora il grande tempo del Digiuno per mezzo del pentimento e della confessione, per giungere alla gioia incessante della Resurrezione del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, al Quale spetta ogni gloria, onore e adorazione nei secoli dei secoli. Amen.

Santa e Grande Quaresima 2012

Il Patriarca di Costantinopoli
+ Bartolomeo
Fervente intercessore presso Dio per tutti voi

sabato 25 febbraio 2012

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2012




«Prestiamo attenzione gli uni agli altri,
per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»
(Eb 10,24)


Fratelli e sorelle,

la Quaresima ci offre ancora una volta l’opportunità di riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. Infatti questo è un tempo propizio affinché, con l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, rinnoviamo il nostro cammino di fede, sia personale che comunitario. È un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di

vivere la gioia pasquale. Quest’anno desidero proporre alcuni pensieri alla luce di un breve testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). È una frase inserita in una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l’accesso a Dio. Il frutto dell’accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali: si tratta di accostarsi al Signore «con cuore sincero nella pienezza della fede» (v. 22), di mantenere salda «la professione della nostra speranza» (v. 23) nell’attenzione costante ad esercitare insieme ai fratelli «la carità e le opere buone» (v. 24). Si afferma pure che per sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio (v. 25). Mi soffermo sul versetto 24, che, in poche battute, offre un insegnamento prezioso e sempre attuale su tre aspetti della vita cristiana: l’attenzione all’altro, la reciprocità e la santità personale.

1. “Prestiamo attenzione”: la responsabilità verso il fratello.

Il primo elemento è l’invito a «fare attenzione»: il verbo greco usato è katanoein, che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà. Lo troviamo nel Vangelo, quando Gesù invita i discepoli a «osservare» gli uccelli del cielo, che pur senza affannarsi sono oggetto della sollecita e premurosa Provvidenza divina (cfr Lc 12,24), e a «rendersi conto» della trave che c’è nel proprio occhio prima di guardare alla pagliuzza nell’occhio del fratello (cfr Lc 6,41). Lo troviamo anche in un altro passo della stessa Lettera agli Ebrei, come invito a «prestare attenzione a Gesù» (3,1), l’apostolo e sommo sacerdote della nostra fede. Quindi, il verbo che apre la nostra esortazione invita a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli. Spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo,

2 mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata».

Anche oggi risuona con forza la voce del Signore che chiama ognuno di noi a prendersi cura dell’altro. Anche oggi Dio ci chiede di essere «custodi» dei nostri fratelli (cfr Gen 4,9), di instaurare relazioni caratterizzate da premura reciproca, da attenzione al bene dell’altro e a tutto il suo bene. Il grande comandamento dell’amore del prossimo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore. Il Servo di Dio Paolo VI affermava che il mondo soffre oggi soprattutto di una mancanza di fraternità: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66).

L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68). Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità. La Sacra Scrittura mette in guardia dal pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di «anestesia spirituale» che rende ciechi alle sofferenze altrui. L’evangelista Luca riporta due parabole di Gesù in cui vengono indicati due esempi di questa situazione che può crearsi nel cuore dell’uomo. In quella del buon Samaritano, il sacerdote e il levita «passano oltre», con indifferenza, davanti all’uomo derubato e percosso dai briganti (cfr Lc 10,30-32), e in quella del ricco epulone, quest’uomo sazio di beni non si avvede della condizione del povero Lazzaro che muore di fame davanti alla sua porta (cfr Lc 16,19). In entrambi i casi abbiamo a che fare con il contrario del «prestare attenzione», del guardare con amore e compassione. Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di «avere misericordia» verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l’umiltà di cuore e l’esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all’empatia: «Il giusto riconosce il diritto dei miseri, il malvagio invece non intende ragione» (Pr 29,7). Si comprende così la beatitudine di «coloro che sono nel pianto» (Mt 5,4), cioè di quanti sono in grado di uscire da se stessi per commuoversi del dolore altrui. L’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine.

Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo. Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato.

Dà consigli al saggio e 3 diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s).

Cristo stesso comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna - elenchein - è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11). La tradizione della Chiesa ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di «ammonire i peccatori». È importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene. Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recrimina-zione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello. L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità. Persino «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16), dice la Scrittura, e noi tutti siamo deboli e manchevoli (cfr 1 Gv 1,8). È un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi.

2. “Gli uni agli altri”: il dono della reciprocità.

Tale «custodia» verso gli altri contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale. Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana! L’apostolo Paolo invita a cercare ciò che porta «alla pace e alla edificazione vicendevole» (Rm 14,19), giovando al «prossimo nel bene, per edificarlo» (ibid. 15,2), senza cercare l’utile proprio «ma quello di molti, perché giungano alla salvezza» (1 Cor 10,33). Questa reciproca correzione ed esortazione, in spirito di umiltà e di carità, deve essere parte della vita della comunità cristiana. I discepoli del Signore, uniti a Cristo mediante l’Eucaristia, vivono in una comunione che li lega gli uni agli altri come membra di un solo corpo. Ciò significa che l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza. Tocchiamo qui un elemento molto profondo della comunione: la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano. «Le varie membra abbiano cura le une delle altre» (1 Cor 12,25), afferma San Paolo, perché siamo uno stesso corpo. La carità verso i fratelli, di cui è un’espressione l’elemosina - tipica pratica quaresimale insieme con la preghiera e il digiuno - si radica in questa comune appartenenza. Anche nella preoccupazione concreta verso i più poveri ogni cristiano può esprimere la sua partecipazione all’unico corpo che è la Chiesa. Attenzione agli altri nella reciprocità è anche riconoscere il bene che il Signore compie in essi e ringraziare con loro per i prodigi di grazia che il Dio buono e onnipotente continua a operare nei suoi 4 figli. Quando un cristiano scorge nell’altro l’azione dello Spirito Santo, non può che gioirne e dare gloria al Padre celeste (cfr Mt 5,16).

3. “Per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”: camminare insieme nella

santità.

Questa espressione della Lettera agli Ebrei (10,24) ci spinge a considerare la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda (cfr 1 Cor 12,31-13,13). L’attenzione reciproca ha come scopo il mutuo spronarsi ad un amore effettivo sempre maggiore, «come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18), in attesa di vivere il giorno senza tramonto in Dio. Il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere di bene, nell’amore di Dio. Così la Chiesa stessa cresce e si sviluppa per giungere alla piena maturità di Cristo (cfr Ef 4,13). In tale prospettiva dinamica di crescita si situa la nostra esortazione a stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell’amore e delle buone opere.

Purtroppo è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di «trafficare i talenti» che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s). Tutti abbiamo ricevuto ricchezze spirituali o materiali utili per il compimento del piano divino, per il bene della Chiesa e per la salvezza personale (cfr Lc 12,21b; 1 Tm 6,18). I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede. Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito sempre attuale a tendere alla «misura alta della vita cristiana» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte [6 gennaio 2001], n. 31). La sapienza della Chiesa nel riconoscere e proclamare la beatitudine e la santità di taluni cristiani esemplari, ha come scopo anche di suscitare il desiderio di imitarne le virtù. San Paolo esorta: «gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10).

Di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone (cfr Eb 6,10). Questo richiamo è particolarmente forte nel tempo santo di preparazione alla Pasqua. Con l’augurio di una santa e feconda Quaresima, vi affido all’intercessione della Beata Vergine Maria e di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, BENEDETTO XVI


mercoledì 22 febbraio 2012

La preghiera di Sant'Efrem il Siro



SantEfrem ha composto una piccola e incisiva preghiera che la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica Orientrale recita ogni giorno nelle sue ufficiature quaresimali. Da essa si comprende la prospettiva nella quale si pone il cristiano ortodosso praticante. Tutto ciò che ripiega la persona su se stessa (ozio, curiosità, superbia, loquacità, giudizio del fratello) viene rigettato. Viene fermamente richiesto quanto appartiene alla pura oblatività (saggezza, umiltà, pazienza, amore) nella serena considerazione della propria creaturalità (vedere le mie colpe). Naturalmente tutto ciò non è finalizzato ad acquisire una moralità che edifichi gli altri. Si può dire che sia paragonabile all'attenzione del funanbolista il quale, se vuole attraversare la corda e giungere alla fine del suo esercizio, prende le dovute precauzioni. Queste precauzioni sono ripresentate alla memoria, durante il momento liturgico, e domandate a Dio. Senza di esse non c'è spirito quaresimale ma non c'è neppure Ortodossia dal momento che l'Ortodossia è una realtà che si vive e che, alla fine, coincide con il Cristo stesso.

Signore e Sovrano della mia vita, non darmi uno spirito di ozio, di curiosità, di superbia e di loquacità.

Segue una grande metania (prostrazione)

Concedi invece al tuo servo uno spirito di saggezza, di umiltà, di pazienza e di amore.

Segue una grande metania

Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.

Dopo questo versetto altre 12 piccole metanie dicendo per ciascuna:

O Dio, sii propizio a me peccatore e abbi pietà di me.

Di nuovo una grande metania e lultimo versetto della preghiera:

Sì, Signore e Sovrano, dammi di vedere le mie colpe e di non giudicare il mio fratello; poiché tu sei benedetto nei secoli dei secoli. Amin.





La speranza della vita nuova in Cristo

"Fa' risplendere, o Signore, il lume del tuo sapere e caccia le tenebre della nostra mente, perché ne sia illuminata e ti serva con rinnovata purezza. Il sorgere del sole dà principio all'attività dei mortali; fa', Signore, che perduri nelle nostre menti un giorno che non conosca fine. Concedi di scorgere in noi la vita della risurrezione, e nulla distolga il nostro spirito dalle tue gioie. Imprimi in noi, o Signore, il segno di questo giorno che non trae inizio dal sole, infondendoci una costante ricerca di te. Ogni giorno ti accogliamo nei tuoi sacramenti e ti riceviamo nel nostro corpo; facci degni di sperimentare nella nostra persona la risurrezione che speriamo. Con la grazia del Battesimo abbiamo nascosto nel nostro corpo il tuo tesoro, quel tesoro che si accresce alla mensa dei tuoi sacramenti; dacci di gioire nella tua grazia. Noi possediamo in noi stessi, perché lo attingiamo alla tua mensa spirituale, il tuo memoriale; fa' che lo possediamo pienamente nella rinascita eterna. Quanto sia grande la nostra bellezza, ce lo faccia comprendere quella bellezza spirituale che, pur nella nostra condizione di mortali, la tua volontà immortale suscita. La tua crocifissione, nostro Salvatore, pose fine alla vita dei corpo; concedici di crocifiggere spiritualmente la nostra anima. La tua risurrezione, o Gesù, faccia crescere in noi l'uomo spirituale; il contatto con i tuoi misteri sia per noi come uno specchio che ce lo fa conoscere. La tua economia divina, Salvatore nostro, è simbolo del mondo spirituale; concedici di percorrerlo come uomini spirituali. Non privare, Signore, la nostra mente della tua rivelazione spirituale, e non sottrarre alle nostre membra il calore della tua dolcezza. La natura mortale del nostro corpo ci conduce alla morte; riversa su di noi il tuo amore spirituale e purifica il nostro cuore dalle conseguenze della nostra condizione mortale. Dacci, o Signore, di affrettarci verso la nostra città e -come Mosè sul Sinai- fa' che la possediamo attraverso la tua manifestazione."

Dai « Discorsi » di sant'Efrem, diacono (Sermo 3, De fine et admonitione 2. 4-5: Opera, edizione Lamy 3, 216-222)

lunedì 20 febbraio 2012

La Grande Quaresima



Il Viaggio verso Pasqua

Quando uno parte per un viaggio, deve sapere dove egli stia andando. Lo stesso accade per la Quaresima. In primo luogo essa è un viaggio spirituale e la sua distinzione è la Pasqua, “la Festa delle Feste”. La Quaresima è la preparazione per la “pienezza” della Pasqua, la vera Rivelazione. Dobbiamo perciò cominciare a comprendere questo rapporto tra Quaresima e Pasqua, poiché esso rivela qualcosa di assolutamente essenziale, di veramente cruciale riguardo alla nostra fede cristiana ed alla nostra vita.
È necessario spiegare che Pasqua è molto più che una delle feste, più che una commemorazione annuale di un avvenimento passato? Chiunque abbia, sia pur una volta, partecipato a questa notte che è “più luminosa del giorno”, ed abbia gustato questa particolare gioia, lo sa. Perché possiamo cantare, come lo facciamo durante il mattutino pasquale: “Oggi tutte le cose sono piene di luce, il cielo e la terra ed i luoghi sotterranei”? In quale senso possiamo celebrare, come pretendiamo di fare, “la morte della Morte, la distruzione dell’inferno, l’inizio di una nuova ed eterna vita...?”. A tutte queste domande, rispondiamo: la nuova vita che quasi duemila anni or sono risplendette dalla tomba, è stata data a noi, a tutti coloro che Credono in Cristo. Essa ci era stata data nel giorno del Battesimo, in cui, come dice San Paolo, “noi fummo sepolti con Cristo nella morte, affinché come Cristo è risuscitato dalla morte, noi pure potessimo vivere una vita nuova” (Romani 6, 4). Così a Pasqua celebriamo la Resurrezione di Cristo come qualcosa di già accaduto e che accade ancora per noi. Infatti ognuno di noi ha ricevuto il dono di questa nuova vita ed il potere di accettarla e di vivere in essa. È un dono che modifica completamente il nostro atteggiamento nei riguardi di tutto questo mondo, ivi inclusa la morte. Esso ci rende possibile di affermare con gioia: “La morte più non esiste!”. Certamente la morte è ancora qui e noi ci troviamo di fronte ad essa ed un giorno verrà e ci porterà via. Ma crediamo fermamente che con la sua morte Cristo ha mutato la vera natura della morte e ne ha fatto un passaggio un agnello pasquale, una “Pasqua” nel Regno di Dio, trasformando la più grande tragedia in una vittoria definitiva. “Calpestando la morte con la morte” egli ci ha reso partecipi della sua Resurrezione. Questa è la ragione per cui alla fine del mattutino pasquale diciamo: “Cristo è risorto e la vita regna! Cristo è risorto e nessun morto rimane nella tomba!”.
Questa è la fede della Chiesa, affermata e resa evidente dai suoi innumerevoli Santi. Tuttavia, purtroppo, non è la nostra esperienza quotidiana poiché questa fede è assai rara, e continuamente perdiamo e tradiamo la “nuova vita”, che riceviamo come in dono, e in realtà viviamo come se Cristo non fosse risorto, come se questo unico evento non avesse alcun significato per noi! Di tutto ciò la causa è la nostra debolezza, la nostra impossibilità di vivere coerentemente con la fede, la speranza e l’amore a quel livello al quale Cristo ci ha sollevati quando disse: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia”. Noi semplicemente dimentichiamo tutto ciò, impegnati come siamo nelle nostre preoccupazioni quotidiane e, poiché dimentichiamo, sbagliamo. Ed a causa di questa dimenticanza, di quest’errore e peccato, la nostra vita diviene di nuova “vecchia” – minuscola, oscura ed infine senz’alcun significato –, un viaggio senza senso e senza un fine significativo. Ci diamo da fare per dimenticare la morte, ma poi, improvvisamente, nel mezzo della nostra “vita meravigliosa”, essa ci raggiunge orribile, inevitabile, senza senso. Possiamo di tempo in tempo confessare i nostri “peccati”, tuttavia non riferiamo la nostra vita a quella nuova vita che Cristo ci ha rivelato e ci ha dato. In realtà viviamo come se egli non fosse mai venuto. Questo è l’unico e reale peccato, il peccato di tutti i peccati, la tristezza senza fondo e la tragedia del nostro Cristianesimo apparente.
Se consideriamo tutto questo, possiamo comprendere quello che la Pasqua rappresenta e perché essa ha bisogno e presuppone la Quaresima. Infatti allora possiamo comprendere che tutte le tradizioni liturgiche della Chiesa, tutti i suoi cicli e servizi divini esistono, prima di tutto per aiutarci a recuperare la visione ed il gusto di questa nuova vita, che così facilmente perdiamo e tradiamo, affinché possiamo convertirci e tornare ad essa. Come possiamo amare e desiderare qualcosa che non conosciamo? Come possiamo porre sopra ogni altra cosa ciò che non abbiamo visto e goduto? In breve, come possiamo cercare un regno di cui non abbiamo idea? È la Liturgia della Chiesa che era ed ancora oggi rappresenta il nostro ingresso nel Regno, la nostra comunione con esso, e la nuova vita in esso. È per mezzo della sua vita liturgica che la Chiesa ci rivela qualcosa di ciò che “né orecchio udì, né gli occhi hanno visto e che non è ancora entrato nel cuore dell’uomo, ma che Dio ha preparato per coloro che lo amano”. Ed al centro di questa vita liturgica, quasi suo cuore e “climax”, come il sole i cui raggi penetrano dappertutto, sta laPasqua. È la porta aperta ogni anno, che ci conduce nello splendore del Regno di Cristo, il pregustare della gioia eterna che ci attende, la gloria della vittoria che già, sebbene invisibile, riempie tutta la creazione: “La morte non c’è più!”. Tutto l’Ufficio divino della Chiesa ruota attorno alla Pasqua e perciò l’anno liturgico, cioè la serie di stagioni e di feste, diviene un viaggio, un pellegrinaggio verso la Pasqua, la fine che è anche ilprincipio: la fine di tutto ciò che era “vecchio”; il principio di una vita nuova, un costante “passaggio” da questo mondo al Regno già rivelatoci da Cristo.
Tuttavia la “vecchia” vita, quella del peccato e della piccineria, non è facilmente superata e trasformata. L’Evangelo aspetta ed esige dall’uomo uno sforzo di cui, nella sua situazione presente, egli è virtualmente incapace. Siamo chiamati ad una visione, ad un traguardo, ad una via di vita che è molto al di sopra delle nostre forze. Anche gli Apostoli, quando udivano il Maestro che insegnava, gli chiesero disperati: “Ma come è possibile ciò?”. Infatti non è facile rinunciare ad un piccolo ideale di vita, frutto di cure quotidiane, di ricerca di beni materiali, di sicurezza e piacere, per un ideale di vita in cui il fine è la perfezione: “Siate perfetti come lo è il vostro Padre Celeste”. Questo mondo attraverso tutti i suoi “media” dice: “Sii felice, prenditela comoda, segui la via larga”. Cristo nell’Evangelo dice: “Scegli la via stretta, combatti e soffri, poiché questa è la via che conduce all’unica vera felicità”. E se la Chiesa non ci aiuta, come possiamo fare questa scelta terribile, come possiamo convertirci eritornare alla promessa fatta ogni anno a Pasqua? Questo è l’aiuto che la Chiesa ci offre, la scuola di penitenza che sola ci sembrerà possibile di accogliere Pasqua non come un mero permesso di mangiare e di bere e di riposarci, ma come la fine di ciò che è “vecchio” in noi, come il nostro ingresso nel “nuovo”.
Nella Chiesa antica lo scopo principale della Quaresima consisteva nel preparare i catecumeni, cioè neoconvertiti alla fede Cristiana, al Battesimo, che a quei tempi era impartito durante la liturgia pasquale. Ma anche in un’epoca in cui la Chiesa di rado battezza gli adulti e l’istituto del catecumenato è scomparso, il significato fondamentale della Quaresima è rimasto lo stesso. Infatti, sebbene noi siamo stati battezzati, ciò che costantemente perdiamo e tradiamo è proprio quanto riceviamo nel Battesimo. Perciò Pasqua è il nostro ritorno annuale al nostro Battesimo, mentre la Quaresima è la preparazione a questo ritorno, lo sforzo lento e sostenuto di compiere alla fine il nostro “passaggio” o “Pasqua” nella nuova vita in Cristo. Se l’ufficio quaresimale conserva anche oggi il suo carattere catechetico e battesimale, non si tratta di un “resto archeologico”, ma di qualcosa di valido ed essenziale per noi. Giacché ogni anno la Quaresima e la Pasqua sono, di volta in volta, la riscoperta ed il recupero da parte nostra di ciò che eravamo grazie alla nostra morte battesimale e la resurrezione.
Un viaggio, un pellegrinaggio! Tuttavia, appena lo cominciamo, facciamo il primo passo nella “luminosa tristezza” della Quaresima, vediamo lontano, molto lontano la destinazione. È la gioia della Pasqua, è l’entrata nella gloria del Regno. Ed è questa visione, il pregustare della Pasqua, che rende la tristezza quaresimale luminosa ed il nostro sforzo una primavera spirituale; la notte può essere oscura e lunga, ma lungo la via una misteriosa e raggiante aurora sembra risplendere all’orizzonte: “Non privarci della nostra attesa, tu che hai amore per gli uomini!”.

da A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974

mercoledì 15 febbraio 2012

L'Europa di Cirillo e Metodio



Gli anni Ottanta furono uno dei periodi più splendenti per la memoria cirillometodiana, esaltata dal papa polacco in numerose forme ed occasioni, su tutte la lettera enciclica Slavorum Apostoli e la proclamazione dei due fratelli macedoni a patroni d'Europa. La loro immagine permise di rendere più evidente e comprensibile l'invito a "respirare con due polmoni", con cui Giovanni Paolo II esprimeva la sua visione ecumenica di una Chiesa unita per il terzo millennio, e anche di una nuova Europa cristiana "dall'Atlantico agli Urali". Furono le categorie di fede e di cultura che permisero di superare psicologicamente l'impedimento del muro di Berlino, che infatti crollo' alla fine di quel decennio. Più di venti anni dopo, la sensazione e' che i santi evangelizzatori degli slavi siano stati nuovamente riposti in soffitta, in attesa di essere riesumati in futuro per nuove esigenze della storia e dello spirito. L'unione dei cristiani orientali e occidentali si e' allontanata più di quanto fosse prima della stessa missione di Cirillo e Metodio, al massimo si fanno trattative per convergenze strategiche contro il relativismo morale. L'Europa ha mostrato indifferenza, se non disprezzo, per la memoria delle sue radici cristiane, e nel cinismo di questa stessa indifferenza si sta ormai frantumando in una serie di egoismi contrapposti, quello francese a quello tedesco, i latini contro i greci, i settentrionali contro i meridionali e gli orientali, tornando in questo quasi ai tempi delle invasioni barbariche prima di Carlo Magno, l'ultimo a tentare una moneta comune europea prima dell'euro oggi morente. Eppure la lezione della missione slava meriterebbe di essere ricordata ancora di più proprio in tempi di crisi. I due "apostoli di Tessalonica" seppero annunciare con limpidezza il Vangelo, districandosi in mezzo agli intrighi delle corti e delle curie di Oriente e Occidente, sfruttando le occasioni senza paura del sacrificio personale e dell'insuccesso; non riuscirono a far passare il disegno unitario di una Grande Moravia cristiana, caparra di una Chiesa e di un'Europa unita, perché la loro opera fu poi divisa e smembrata, ma lasciarono in tutti la nostalgia di una comunione più grande. Di fronte alle esigenze di popoli giovani e privi di orientamento, inventarono un nuovo linguaggio, sia nell'espressione alfabetica (Costantino-Cirillo in questo fu una specie di Steve Jobs del Medioevo), sia nell'impianto culturale complessivo, unendo tradizione latina e bizantina, liturgia, filosofia e sacra scrittura, scolastica e mistica, dando così una nuova possibilità di espressione a quella grande tradizione patristica che si stava ormai esaurendo, nella definitiva scomparsa del mondo antico. La loro missione segno' la nascita vera e propria dell'Europa, di quello spazio insieme geografico e spirituale che, nonostante mille conflitti, decine e decine di milioni di morti, riforme e rivoluzioni di ogni genere, ancora oggi rimane al centro dei destini di un mondo in grandissima e globale evoluzione. Esisterà ancora l'Europa, nel procedere incerto di questo terzo millennio cristiano? La domanda e' sempre più pressante e angosciosa, se pensiamo che proprio in questi giorni i manovratori dei poteri politici ed economici stanno cercando la maniera più conveniente per liberarsi della Grecia, utero dell'intero continente e madre della sua realizzazione più antica e gloriosa, l'Impero prima macedone e poi romano, e poi ancora franco e sassone, terra in cui il Vangelo di un Messia ebraico e' diventato annuncio del Figlio di Dio, proclamato proprio in greco e in Grecia dall'apostolo Paolo. Terra dei santi Cirillo e Metodio, patroni spirituali di un continente alla deriva, che forse grazie alla loro memoria riuscirà a non scomparire e risorgerà nella grazia di una vita nuova, in una nuova evangelizzazione, con un linguaggio nuovo e antico insieme, che qualche santo saprà inventare per noi.

di: Stefano Caprio , www.orientecristiano.com






Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli

Arcidiocesi Ortodossa d'Italia e Malta

Chiesa Greco Ortodossa di San Teodoro Megalomartire in Palatino

ΕΟΡΤΗ ΑΓΙΟΥ ΘΕΟΔΩΡΟΥ - FESTA DI SAN TEODORO



PROGRAMMA


SABATO 18 FEBBRAIO

Ore18.00 Grandi Vespri solenni presieduti dal

Metropolita di Italia e Malta S.E.R. Mons. GENNADIOS



DOMENICA 19 FEBBRAIO

Ore 09.00 Ufficio del Mattutino

10.30 Divina Liturgia Pontificale


Il Parroco: Archimandrita Simeone Catsinas


Chiesa di San Teodoro, via S. Teodoro 7, in colle Palatino, Roma



domenica 12 febbraio 2012

Gregorio III Laham: Appello all’Europa per un compromesso in Siria


Il patriarca melchita di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme teme che il suo Paese sia diventato ostaggio di un gioco di influenze fra Stati Uniti e Russia, e chiede all’Europa del “mare nostrum” di assumere l’iniziativa che possa evitare il flagello della guerra civile.

Beirut (AsiaNews) – AsiaNews ha intervistato Gregorio III Laham, Patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti sulla crisi siriana e suoi possibili sviluppi anche per quanto riguarda le comunità cristiane del Paese.

Il flagello della guerra civile si è abbattuto sulla Siria. Come sfuggire a questa maledizione, a questa discesa all’inferno? Alcuni pensano che un regime che essi giudicano cinico e crudele non possa cambiare, e debba essere spezzato. Non credono alla possibilità di un cambiamento dall’interno, neanche obbligato dall’emergere di una forza militare che equilibri quella del regime, o dalle pressioni economiche e diplomatiche, o dalle sanzioni internazionali. Altri, anche all’interno della Siria - per esempio personalità dell’opposizione o capi religiosi - non perdono la speranza di un cambiamento interno, pur coscienti della sua difficoltà, vista la struttura attuale del Partito unico. Da uomo di pace, il patriarca Gregorio III fa parte di quelli che non si lasciano cader le braccia. Da vari mesi non smette di fare appello ai responsabili arabi affinché si mettano all’ascolto dei loro popoli. Questi appelli sono stati costanti, in particolare per due dei Paesi del territorio patriarcale, l’Egitto e la Siria. In quest’ultimo Paese, la sua patria, pensa che un cambiamento sia ancora possibile, soprattutto se l’Europa interviene. Per lui non c’è molto da aspettarsi dagli Stati Uniti; ma l’Europa, l’Europa del Mare nostrum può fare ancora molto a favore di un compromesso che risparmi alla Siria gli orrori della violenza cieca e della guerra civile. Il patriarca che chiama al dialogo “tutti i partiti in Siria, e fuori della Siria” vede il suo Paese diventare ostaggio di una “lotta di influenze” fra Stati Uniti e Russia.
Il patriarca greco-cattolico ci riceve nella sede patriarcale di Raboué alla vigilia della riunione annuale del Sinodo della sua Chiesa (6-8 febbraio) che deve fra l’altro provvedere a tre sedi episcopali vacanti, di cui due proprio in Siria.

Che cosa pensa esattamente Gregorio III di ciò che accade nel suo Paese? Pensa che si tratti di un complotto, tesi ufficiale del regime, o di una rivoluzione?
Senza voler criticare la Siria, vorrei dire che non amo il termine ‘complotto’. Per me è un segno di debolezza. E’ come dire che intorno a voi non ci sono che nemici. Ma si può parlare d’altronde di rivoluzione? Quello che sta accadendo non è specifico della Siria solamente. Penso che i Paesi arabi siano entrati in un fenomeno di rivoluzione, senza che si possa parlare di una vera rivoluzione. In generale, una rivoluzione è qualche cosa che si prepara. Descriverei piuttosto ciò che accade come il risultato di un cumulo di frustrazioni. Ma la politica vi si mescolata, e ha falsato tutto.

Senza cercare di difendere ciecamente il regime, lei si stupisce di come si tenti di trascinare la Chiesa in Siria nella campagna che mira ad affondare il sistema. Rimprovera l’Europa di spingere alla violenza, più che alla ricerca di un compromesso politico…
L’ho detto al Times, qualche giorno fa. Non pensate a cambiare il regime, ma aiutate il regime a cambiare. Credo che sia questa la giusta visione delle cose. E per questo la Chiesa è là, e ha fatto molto.

Anche Assad vuole il cambiamento… Ma è realistico chiedere al Baath di cambiare ?
Certo. Non guardate al passato. Il passato è passato. Impariamo dalla guerra in Libano. Quindici anni di guerra, perché? E’ una lezione per tutti noi. D’altronde, guardiamo le cose in faccia. Bisogna guardare al di là di ciò che accade in Siria. Siamo davanti ad arsenali considerevoli. E’ ragionevole, in un caso come questo, gridare ‘alle armi!’ ? Comunque, la Chiesa non può farlo, non chiedetele di svolgere un ruolo che non è il suo. Credo che la Siria, dopo undici mesi di questa esperienza, non sarà più la stessa. Credo che ci sarà un cambiamento di base, e credo che anche il presidente Bashar al-Assad lo voglia.

La crisi siriana sembra sfuggire ai suoi protagonisti…
Si ha l’impressione che la situazione non sia più nelle mani della Siria, ma di assistere a una lotta di influenze fra Stati Uniti e Russia. Siamo entrati in una fase di servaggio politico. Tutto è centrato sul Consiglio di sicurezza e sul veto russo.

Ha paura per i cristiani di Siria ?
La Siria ha sempre avuto la più bassa percentuale di emigrazione nel mondo arabo. E’ significativo. E’ dovuto al fatto che il regime è veramente laico. E’ l’avvenire. Certo, ci sono delle partenze motivate dalla paura, ma non è l’esodo. Tutto ciò che posso dire è : non abbiate paura. Come cristiano non mi sento un bersaglio di nessun gruppo, neanche dei salafiti. In Egitto la situazione è differente. Non dico che non ci saranno dei gesti estremi, ma noi facciamo nostre le parole di Atenagora: non ho paura, perché mi sono disarmato. Bisogna porre il problema in termini sociali. Parlare come cittadini siriani, non come cristiani. Il problema non è religioso, anche se c’è chi introduce nella sua analisi questo elemento. E’ falso. Ai deputati europei che si trovavano in Libano per un colloquio sui cristiani d’oriente, a Kaslik, nel novembre 2011, ho detto: venite non per l’avvenire dei cristiani, ma per l’avvenire di questo mondo. Per noi, non è il momento di chiedere i nostri diritti, ma di riscoprire la nostra missione in un mondo arabo che vive una nuova nascita. Predicare la pace, la legalità, la giustizia è la nostra maniera di accompagnare gli avvenimenti, sia all’interno che all’esterno.

Si rimprovera alla Chiesa di restare in una zona grigia, di non denunciare le gravi violazioni dei diritti umani..
Non è vero. Ho fatto appello alla fine della violenza in ogni mia dichiarazione. Ma non sono né un politico, né un agente della sicurezza, né un giornalista. Non posso entrare nei dettagli. Non ne ho né i mezzi, né la volontà. La Chiesa non può dare soluzioni, ma solamente orientare. D’altronde agisce attraverso canali che non sono pubblici”.

Lei ha denunciato “le esagerazioni” e la “disinformazione” di cui vede tracce nella stampa.
Siamo in una vera guerra moderna, i media sono diventati “dispotici” e svolgono un ruolo “distruttivo”.

E per quanto riguarda i bilanci quotidiani di vittime che appaiono sui media?
Non ho risposte, ma dico che ci sono falsificazioni da entrambe le parti, e anche da parte dell’Europa. Tutto è politicizzato; e in quel senso sì, c’è un complotto. Penso che la parola d’ordine del momento sia: bisogna distruggere Cartagine. E non capisco come un’Europa che si è risollevata da una guerra mondiale che ha fatto 50 milioni di morti possa sostenere una parte contro l’altra, mentre avrebbe i mezzi per fermarla”.

Ma il presidente siriano è pronto a riconoscere, come interlocutori legittimi, quelli che lo combattono? E la Lega araba non ha cercato di aiutarlo a fare questo passo, mandando osservatori in Siria e chiedendo al capo dello Stato siriano di ritirare i carri armati dalle città? E lui non ha chiaramente scelto la soluzione di forza? Per Gregorio III l’Europa e la Russia possono ancora convincerlo a dare prova di flessibilità e di apertura?
Torno a quello che ho già detto. Non sono un politico. In politica, non si può mai dire. Ma io so che il sangue versato da chiunque è il sangue di mio fratello. E aggiungo che ci si appassiona per la Siria, ma si dimentica Israele, e la causa palestinese. Ho inviato una lettera a tutti i responsabili europei, il 2 aprile del 2011, in cui chiedo una soluzione per il conflitto palestinese, perché, risolvendo questo conflitto, si risolverebbero la metà dei problemi del mondo arabo. Ora, dopo 63 anni di crisi, il conflitto israelo-palestinese non ha ancora una soluzione. Perché, nel settembre scorso, non si è riconosciuto lo Stato palestinese all’Onu? E’ una capitolazione. E’ indegno del mondo.

da: www.orientecristiano.com

sabato 11 febbraio 2012

Domenica 12 Febbraio: Domenica di Carnevale o del Giudizio




Giudizio Universale
Cattedrale San Nicola di Mira - Lungro

In questa domenica di pre-quaresima il brano evangelico di Matteo 25,31-46 ci propone il tema del giudizio finale davanti al Signore. Il giudizio del Signore verterà sull'amore che noi abbiamo avuto verso il prossimo, verso ogni uomo, indipendentemente dal suo status religioso, sociale o politico (ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi). Questa domenica viene comunemente detta di Carnevale, poiché alla sera di questo giorno ha inizio l’astensione dalla carne.

KONDAKION

ταν ἔλθῃς ὁ Θεός, ἐπὶ γῆς μετὰ δόξης, καὶ τρέμωσι τὰ σύμπαντα, ποταμὸς δὲ τοῦ πυρὸς πρὸ τοῦ Βήματος ἕλκῃ, καὶ βίβλοι ἀνοίγωνται, καὶ τὰ κρυπτὰ δημοσιεύωνται, τότε ῥῦσαί με, ἐκ τοῦ πυρὸς τοῦ ἀσβέστου, καὶ ἀξίωσον, ἐκ δεξιῶν σου μὲ στῆναι, Κριτὰ δικαιότατε.

Quando verrai sulla terra nella gloria, o Signore, quando tremerà l’universo ed un fiume di fuoco trascinerà tutti dinanzi al tuo tribunale; quando si apriranno i libri e saranno rese pubbliche le cose nascoste; allora, o giustissimo giudice, liberami dal fuoco inestinguibile e degnami di sedere alla tua destra



venerdì 10 febbraio 2012

Ringraziamenti



Ringraziamo tutti i quotidiani lettori e visitatori del nostro blog-site

Oggi 10 febbraio 2012 a distanza di due anni dalla creazione di questo blog, siamo arrivati ad un numero di visitatori pari a : 30.000




Grazie a tutti voi

giovedì 9 febbraio 2012

La nuova Costituzione e il Patriarca ecumenico



ISTANBUL , 7. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, è stato invitato a partecipare ai lavori dell'Assemblea nazionale turca riguardanti la redazione della nuova Costituzione, in particolare sul tema delle minoranze religiose. Nella seconda metà del mese di febbraio — riferisce l’agenzia France Presse — la guida spirituale della Chiesa greco-ortodossa fornirà il suo parere nell’ambito di una speciale commissione p a r l a m e n t a re che, successivamente, ascolterà anche i responsabili delle altre comunità religiose riconosciute nel Paese (armena, siriaca ed ebraica). In Turchia, nazione a stragrande maggioranza musulmana, il passo è valutato positivamente dalle minoranze religiose, che vedono aumentare lo spazio e la considerazione riservati loro dallo Stato. In particolare — informa l’agenzia Fides — si auspica che, nel processo di revisione e riforma della nuova carta costituzionale, venga concesso il riconoscimento giuridico e la rappresentanza legale alla Chiesa cattolica di rito latino. Fra gli ulteriori passi di apertura verso le minoranze, c’è poi la proposta di legge, in preparazione al ministero della Pubblica Istruzione, per consentire alle scuole delle minoranze religiose di accettare i bambini della loro comunità che non sono cittadini turchi. Il progetto di legge prevede che i bambini stranieri dei gruppi greco-ortodosso, armeno, siriaco ed ebraico possano ricevere l’istruzione nelle scuole della loro comunità. In tal modo si farà fronte al rischio di chiusura delle scuole delle minoranze religiose per carenza di studenti. Va infine ricordato il decreto dell’agosto scorso con il quale il Governo di Ankara ha deciso di restituire alle comunità religiose i beni confiscati negli anni Trenta del secolo scorso. Nel novembre scorso, la Direzione generale delle fondazioni in Turchia (un organismo governativo) ha concesso la personalità giuridica alle fondazioni appartenenti alle minoranze religiose non islamiche riconosciute nel Trattato di Losanna del 1923. Il primo passo ufficiale è stato il riconoscimento giuridico per la fondazione dello storico liceo greco «Beyoglu». La decisione è stata accolta con favore dalle comunità religiose minoritarie, come quella cristiana di rito greco, armena ed ebraica: tutte minoranze che, per gestire opere sociali e di carità come ospedali e scuole, hanno dovuto necessariamente creare fondazioni private, non disponendo esse stesse di personalità giuridica. Diverso, com’è noto, il caso della Chiesa cattolica latina, che non è fra le comunità riconosciute nel Trattato di Losanna.

© Osservatore Romano - 7 febbraio 2012


Presentazione Volume


IL PONTIFICIO COLLEGIO GRECO
E LA COMUNITÀ BIZANTINA DI S. ATANASIO DI ROMA

Sabato 18 febbraio 2012 - ore 17,00 - via dei Greci 46

Organizzano la La presentazione del volume di don Pasquale FERRARO



La Divina Liturgia' e la 'Settimana Santa'

una rielaborazione musicale dei temi popolari e dei canti più significativi della liturgia
di rito bizantino in uso presso le chiese cattoliche degli arbëreshë in Italia


Relatori:

Archim. Prof. Manel Nin, Rettore del Pontificio Collegio Greco:
Il ruolo della musica nella Liturgia bizantina

Protopapàs Nik Pace, parroco della Chiesa bizantina San Nicola di Mira a Lecce:
Un nuovo impegno per una reinterpretazione della musica nella Chiesa bizantina


Presentazione ed ascolto di alcuni brani a cura dell'autore
Moderatore: Prof. Domenico Morelli

La S.V. è cordialmente invitata

mercoledì 8 febbraio 2012



Chi siamo noi per predicare la Parola Divina?


Dal primo momento della creazione dell’uomo Dio gli ha dato la figura la somiglianza Sua (Gen 1,26), e dopo la caduta gli ha detto il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai (Gen 3,19). San Athanasio ci ha detto che Dio si è fatto uomo perché esso diventassi Dio, ed è una definizione completa per il nostro cammino come cristiani e come figli di Dio. Tutti cristiani sono felici perché Dio si è incarnato ed è risorto, festeggiamo mangiamo e beviamo ma dimentichiamo il punto importante, quando io sono morto per il mio fratello, servendolo con tutto il cuore? Quando io con l’aiuto del mio fratello sono risorto? Esempi che viviamo ogni giorno, fratelli miei, tutti i giorni siamo esposti a tanti tentazioni buoni per la nostra edificazione nello spirito di preghiera e nella fede, ma guai a chi cade e non trova nessuno per aiutarlo ad alzarsi, per cui si dice attento tu che stai in piedi di non caderti, perché proprio queste persone si considerano salvati sulla terra. Dio si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo per la nostra salvezza e per insegnarci l’umiltà che è anche il primo voto che deve prendere ogni cristiano dopo il suo battesimo. Oggi viviamo come vagabondi non c’abbiamo ne inizio ne fine, senza storia senza ricordo, per cui mi sembrava ora è bel tempo di riflettere ognuno di noi lo stile della sua vita e il suo comportamento verso i suoi fratelli in Cristo, verso se stesso, riflettendo sui i nostri comportamenti, e chiedendosi veramente sono Cristiano? Veramente do l’esempio del cristianesimo(o del vero cristiano)? Diamoci una pausa prima che cominciasse la Quaresima, e mettiamoci ognuno un piccolo programma di preghiera personale chiedendo dallo Spirito un aiuto per illuminare la nostra strada per poter proclamare la parola Divina, che non è nient’altro che noi uomini. Cioè ognuno di noi è la parola vivente di Dio, o meglio dire possiamo esserLa, perché ognuno di noi è invitato a vivere la Parola nella sua vita con i doni dello Spirito, che senz’altro sono per tutti ed ognuno secondo la sua capacità (1Cor 12, 8-10). Cerchiamo allora di dare il buon esempio vivendo come i veri cristiani, in un mondo che ha bisogna di noi e abbiamo bisogno di lui, ci ama e lo amiamo, un modo che Dio ha voluto salvarlo, per cui ci ha mandati con i suoi doni. Essendoci la Parola, vi prego non abbiate paura perché come era Timoteo, possiamo esserlo anche noi, e come ha meritato i doni dello spirito, li meritiamo anche noi, rispondendo alla chiamata: Predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo servizio. (1Tm 4, 3-5) Infine tutto è un servizio, ma un servizio con gioia che rende il nostro cuore allegro e così rallegriamo tutti i cuori di chi ci stanno intorno, sbarazzandosi di ogni cattiveria, di ogni frode, dell'ipocrisia, delle invidie e di ogni maldicenza, come bambini appena nati, desiderando il puro latte spirituale, perché con esso cresciamo per la salvezza, se davvero abbiamo gustato che il Signore è buono. (Cfr. 2Pt 2,1-3) Allora possiamo dire che abbiamo tantissimi predicatori della Parola semplicemente dalla bocca, ma veramente quale vale, quello dalla bocca o dai atti? Almeno secondo la Parola è secondo i nostri atti, il nostro cammino e la nostra testimonianza. Allora lavoriamo in questa santa Quaresima per tenere saldi i nostri atti buoni e sostituire quelli cattivi in atti buoni perché la Parola di Dio sia in ogni nostro atto ed alla nostra bocca in ogni tempo.

Che dirò di più?

Poiché il tempo mi mancherebbe per raccontare di Gedeone, Davide, Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, chiusero le fauci dei leoni, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, Ci furono donne che riebbero per risurrezione i loro morti; Furono lapidati, segati, uccisi di spada; Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso. Perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi. (Cfr. Eb 11, 32-40). Quello che mi permetterei di dire di più, è di aggiungere un’altra parola santa della vita e dalla bocca di san Paolo ai Colossesi: Ora sono lieto di soffrire per voi; e quel che manca alle afflizioni di Cristo lo compio nella mia carne a favore del suo corpo che è la chiesa. Di questa io sono diventato servitore, secondo l'incarico che Dio mi ha dato per voi di annunciare nella sua totalità la parola di Dio (1Col 1,24-25). Preghiamo tutti per tutti, che Dio ci dia la opportunità e la forza per poter veramente testimoniare la Parola con la nostra vita quotidiana, predicando con le nostre bocche la Parola Divina, aspettando che succederebbe per ognuno di noi quello che avuto Isaia: Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall'altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato» (Is 6,6-7).

Buona Quaresima a tutti.

Michel Skaf, alunno P.C.Greco