venerdì 28 giugno 2013

La festa di san Pietro e san Paolo nella poesia di Romano il Melodo.


Icona dei santi Pietro e Paolo, s. XVII. Aleppo (Siria)


Non vinco con la forza ma con la debolezza

            L’ufficiatura bizantina per la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo porta due tropari al mattutino che fanno parte di un intero kontakion (poema liturgico) in 24 strofe di Romano il Melodo (VI secolo). In questo testo l’innografo ci presenta con delle belle immagini la figura dell’apostolo cristiano. Dei due tropari presenti nel mattutino poi uno si canta anche ogni giovedì della settimana, giorno in cui si commemorano in modo speciale gli apostoli: “Gli araldi sicuri, che fanno risuonare voci divine, i corifei tra i tuoi discepoli, Signore, tu li hai accolti a godere dei tuoi beni, nel riposo: perché le loro fatiche e la loro morte piú di ogni olocausto ti sono state accette, o tu che solo conosci i segreti del cuore”. Quest’ultima frase la troviamo a conclusione di ognuna delle 24 strofe del nostro poema.
            Già dall’inizio del testo Romano presenta il gruppo dei Dodici come coloro che sono fedeli all’insegnamento di Cristo e che adempiono nelle loro vite quello che insegnano: “Così una volta anche i tuoi discepoli, dopo avere adempiuto innanzi tutto ai tuoi comandamenti, insegnavano quello che facevano compiendo ogni sforzo per rafforzare l’insegnamento col comportamento…”. Diverse sono le immagini adoperate dall’innografo per “dipingere” quasi un’icona dell’apostolo di Cristo: “Il gruppo di tutti gli apostoli riempì del suo profumo tutta la terra. Essi sono i tralci della vite che è Cristo, la piantagione del giardiniere celeste, pescatori prima di Cristo e dopo di lui. Essi che avevano consuetudine con l’acqua salata (del mare) ora proferiscono dolci parole (salmo 44,2)”.
            È il Cristo risorto colui che dà forza e coraggio ai Dodici; ed è a partire dalla strofa 4 che prende la parola il Signore stesso, parlando ad ognuno degli apostoli, a cominciare con Pietro nelle strofe 5 e 6. Lo fa a partire dalla triplice negazione nella strofa 5, e dalla triplice confessione dell’amore nella strofa 6. In primo luogo il Signore stesso deve essere il modello per Pietro nel suo insegnamento e soprattutto nella sua compassione: “Andate dunque da tutti i popoli, gettate nella terra il seme del ravvedimento e irroratelo con l’ammaestramento. Nel modo di insegnare, o Pietro, guarda me. Pensando alla tua colpa, abbi compassione per tutti…”. La debolezza di Pietro di fronte alla donna che nella casa del gran sacerdote lo impreca (Mt 26,69), deve diventare anche per lui fonte di compassione; e qui Romano adopera immagini molto belle e toccanti sul necessario atteggiamento di compassione e di magnanimità: “…e a motivo di quella donna che ti fece vacillare non essere severo. Se l’orgoglio ti assale, ricorda il canto del gallo, ripensa ai torrenti di lacrime con cui ti lavai, io che solo conosco i segreti del cuore”. Notiamo il tema delle lacrime di pentimento come lavacro di purificazione. Questo tema, sempre collegato alla figura di Pietro, Romano il Melodo l’ha sviluppata anche in un altro suo kontakion sulle negazioni di Pietro: “È vinto il Misericordioso dalle lacrime di Pietro e a lui manda il perdono. Mentre parla al ladrone, è a Pietro che allude, là sulla croce: «Ladrone, amico mio, stà con me oggi, poiché Pietro mi ha abbandonato! Eppure a lui e a te io dischiudo la mia misericordia. Piangendo, o ladrone, mi dici: “Ricordati di me!”, e Pietro grida gemendo: “Non abbandonarmi!”».
            Nella strofa 6 Romano contempla la triplice professione dell’amore di Pietro verso il Signore (Gv 21,15-17), che diventa amore anche verso coloro che il Signore ama: “Pietro, mi ami? Fa quel che dico: pascola il mio gregge ed ama quelli che io amo”. Come nella strofa precedente Pietro è spronato da Cristo stesso ad essere misericordioso: “Abbi compassione dei peccatori, memore della mia misericordia verso di te, poiché io ti ho accolto dopo che per tre volte tu mi avevi rinnegato”. E Romano poi riprende la figura del buon ladrone, presentato come custode del paradiso e modello anche per Pietro di peccatore perdonato dal Signore: “Tu hai il ladrone a rincuorarti, il custode del paradiso…”. Pietro e il ladrone infine diventano mediatori, “portinai” del ritorno di Adamo al paradiso da cui era stato espulso: “Attraverso voi Adamo ritorna a me dicendo: «Il Creatore ha posto per me il ladrone a guardia della porta e a guardia delle chiavi Cefa…»”.
            Dalle strofe 7 alla 12 il Signore parla personalmente a diversi apostoli: Andrea, Giovanni, Giacomo, Filippo, Tommaso, Matteo; e fermandosi a costui, quasi un momento di stanchezza, prosegue nella strofa 13: “Una parola sola io pronuncio per tutti, per non affaticarmi a istruirvi uno per uno. Ai miei santi una volta per tutte io dico: «Non tormentatevi ora nel vostro cuore… Non ragionate come bambini, siate prudenti come i serpenti; nell’immagine del serpente io sono stato innalzato per voi. Non tralasciate la predicazione per le vostre stesse paure! Non voglio vincere con la forza: io vinco per mezzo dei deboli…»”. L’immagine del serpente innalzato nel deserto (Num 21,8) porta Romano all’immagine del Cristo innalzato sulla croce (Gv 3,14).
            Soltanto verso la fine del testo, in un’unica strofa, Romano introduce la figura di Paolo, presentato come apostolo in sostituzione di Giuda, quasi come se Paolo stesso fosse il “ripago” della vendita di Giuda: “Aborrite la tristezza e la paura, che conducono molti alla morte, come Giuda. La disperazione intrecciò la corda per il traditore…; eppure il demonio fra poco dovrà ripagare Giuda con Paolo di Cilicia, l’ingannatore con l’uomo eccellente”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma



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