mercoledì 24 settembre 2014

Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Albania



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio”(Tirana)
Domenica, 21 settembre 2014


Cari amici,

sono veramente lieto di questo incontro, che riunisce i responsabili delle principali confessioni religiose presenti in Albania. Saluto con profondo rispetto ciascuno di voi e le comunità che rappresentate; e ringrazio di cuore Mons. Massafra per le sue parole di presentazione e introduzione. È importante che siate qui insieme: è il segno di un dialogo che vivete quotidianamente, cercando di costruire tra voi relazioni di fraternità e di collaborazione, per il bene dell’intera società. Grazie per quello che fate. L’Albania è stata tristemente testimone di quali violenze e di quali drammi possa causare la forzata esclusione di Dio dalla vita personale e comunitaria. Quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati. Voi sapete bene a quali brutalità può condurre la privazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa, e come da tale ferita si generi una umanità radicalmente impoverita, perché priva di speranza e di riferimenti ideali. I cambiamenti avvenuti a partire dagli anni ’90 del secolo scorso hanno avuto come positivo effetto anche quello di creare le condizioni per una effettiva libertà di religione. Ciò ha reso possibile ad ogni comunità di ravvivare tradizioni che non si erano mai spente, nonostante le feroci persecuzioni, ed ha permesso a tutti di offrire, anche a partire dalla propria convinzione religiosa, un positivo contributo alla ricostruzione morale, prima che economica, del Paese. In realtà, come affermò san Giovanni Paolo II nella sua storica visita in Albania del 1993, «la libertà religiosa […] non è solo un prezioso dono del Signore per quanti hanno la grazia della fede: è un dono per tutti, perché è garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà […] Niente come la fede ci ricorda che, se abbiamo un unico creatore, siamo anche tutti fratelli! La libertà religiosa è un baluardo contro tutti i totalitarismi e un contributo decisivo all’umana fraternità» (Messaggio alla nazione albanese, 25 aprile 1993).  Ma subito bisogna aggiungere: «La vera libertà religiosa rifugge dalle tentazioni dell’intolleranza e del settarismo, e promuove atteggiamenti di rispettoso e costruttivo dialogo» (ibid.). Non possiamo non riconoscere come l’intolleranza verso chi ha convinzioni religiose diverse dalle proprie sia un nemico molto insidioso, che oggi purtroppo si va manifestando in diverse regioni del mondo. Come credenti, dobbiamo essere particolarmente vigilanti affinché la religiosità e l’etica che viviamo con convinzione e che testimoniamo con passione si esprimano sempre in atteggiamenti degni di quel mistero che intendono onorare, rifiutando con decisione come non vere, perché non degne né di Dio né dell’uomo, tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione. La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano. Da questo punto di vista, la libertà religiosa non è un diritto che possa essere garantito unicamente dal sistema legislativo vigente, che pure è necessario: essa è uno spazio comune – come questo –, un ambiente di rispetto e collaborazione che va costruito con la partecipazione di tutti, anche di coloro che non hanno alcuna convinzione religiosa. Mi permetto di indicare due atteggiamenti che possono essere di particolare utilità nella promozione di questa libertà fondamentale. Il primo è quello di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non ha bisogno di imporsi, di esercitare pressioni sull’altro: sa che la verità ha una propria forza di irradiazione. Tutti siamo, in fondo, pellegrini su questa terra, e in questo nostro viaggio, mentre aneliamo alla verità e all’eternità, non viviamo come entità autonome ed autosufficienti, né come singoli né come gruppi nazionali, culturali o religiosi, ma dipendiamo gli uni dagli altri, siamo affidati gli uni alle cure degli altri. Ogni tradizione religiosa, dal proprio interno, deve riuscire a dare conto dell’esistenza dell’altro. Un secondo atteggiamento è l’impegno in favore del bene comune. Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa. Questa appare allora non solo come uno spazio di autonomia legittimamente rivendicato, ma come una potenzialità che arricchisce la famiglia umana con il suo progressivo esercizio. Più si è a servizio degli altri e più si è liberi! Guardiamoci attorno: quanti sono i bisogni dei poveri, quanto le nostre società devono ancora trovare cammini verso una giustizia sociale più diffusa, verso uno sviluppo economico inclusivo! Quanto l’animo umano ha bisogno di non perdere di vista il senso profondo delle esperienze della vita e di recuperare speranza! In questi campi di azione, uomini e donne ispirati dai valori delle proprie tradizioni religiose possono offrire un contributo importante, anzi insostituibile. È questo un terreno particolarmente fecondo anche per il dialogo interreligioso. E poi, vorrei accennare ad una cosa che è sempre un fantasma: il relativismo, “tutto è relativo”. Al riguardo, dobbiamo tenere presente un principio chiaro: non si può dialogare se non si parte dalla propria identità. Senza identità non può esistere dialogo. Sarebbe un dialogo fantasma, un dialogo sull’aria: non serve. Ognuno di noi ha la propria identità religiosa, è fedele a quella. Ma il Signore sa come portare avanti la storia. Partiamo ciascuno dalla propria identità, non facendo finta di averne un’altra, perché non serve e non aiuta ed è relativismo. Quello che ci accomuna è la strada della vita, è la buona volontà di partire dalla propria identità per fare il bene ai fratelli e alle sorelle. Fare del bene! E così, come fratelli camminiamo insieme. Ognuno di noi offre la testimonianza della propria identità all’altro e dialoga con l’altro. Poi il dialogo può andare più avanti su questioni teologiche, ma quello che è più importante e bello è camminare insieme senza tradire la propria identità, senza mascherarla, senza ipocrisia. A me fa bene pensare questo. Cari amici, vi esorto a mantenere e sviluppare la tradizione di buoni rapporti tra le comunità religiose esistenti in Albania, e a sentirvi uniti nel servizio alla vostra cara patria. Con un po’ di senso dell’umorismo si può dire che questa sembra una squadra di calcio: i cattolici contro tutti gli altri, ma tutti insieme, per il bene della Patria e dell’umanità! Continuate ad essere segno, per il vostro Paese e non solo, della possibilità di relazioni cordiali e di feconda collaborazione tra uomini di religioni diverse. E vi chiedo un favore: di pregare per me. Anche io ne ho bisogno, tanto bisogno. Grazie.

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martedì 16 settembre 2014

In memoria di Mons. Eleuterio Fortino




Nella ricorrenza del IV anniversario della scomparsa di Mons. Eleuterio Fortino 
Domenica 21 settembre alle ore 10:30
nella Chiesa di S. Atanasio  dei Greci in Via del Babuino 149- Roma ,
sarà celebrata la Divina Liturgia in suo suffragio. 


Eterna sia la sua memoria. - I përjetëshëm kloft kujtimi i tij



Viaggio Apostolico di Papa Francesco in Albania






Sarà il quarto viaggio fuori dall'Italia. La partenza è prevista alle 7.30 dall'aeroporto di Fiumicino. L'arrivo, due ore dopo, all'aeroporto internazionale di Tirana. Alle 9.30, la cerimonia di benvenuto nel piazzale del Palazzo presidenziale, seguita dalla visita di cortesia al presidente albanese Bujar Nishani. Alle 10, l'incontro con le autorità nel Salone dei ricevimenti del Palazzo presidenziale. Alle 11, Papa Francesco presiederà la Santa Messa e l'Angelus in piazza Madre Teresa. Alle 13.30, incontro e pranzo con i vescovi albanesi nella Nunziatura apostolica. Nel pomeriggio, alle 16, il Papa incontrerà i leader di altre religioni e denominazioni cristiane nell'Università Cattolica di «Nostra Signora del Buon Consiglio». Alle 17, la celebrazione dei Vespri con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i movimenti laicali nella cattedrale di Tirana, e infine, alle 18.30, l'incontro al Centro Betania con i bambini e alcuni assistiti di istituti caritativi dell'Albania. Alle 19.45, la cerimonia di congedo all'aeroporto di Tirana. L'arrivo a Ciampino è previsto alle 21.30.



Ecumenismo





Plenaria della commissione per il dialogo teologico con la Chiesa ortodossa

Dal 15 al 23 settembre si terrà la tredicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. La riunione avrà luogo ad Amman, in Giordania, su invito del patriarca greco ortodosso di Gerusalemme Teofilos III . I lavori della Commissione saranno presieduti dal cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e dal metropolita di Pergamo Ioannis (Zizioulas), del patriarcato ecumenico.

Parteciperanno, come in precedenti circostanze analoghe, due rappresentanti di ognuna delle quattordici Chiese ortodosse autocefale e altrettanti rappresentanti cattolici. La sessione plenaria avrà come oggetto l’esame di una bozza di documento, dal titolo «Sinodalità e Primato», che è stata redatta dal Comitato di coordinamento della Commissione nel corso di due riunioni che hanno avuto luogo a Roma nel 2011 e a Parigi nel 2012. Il tema è stato scelto al termine della dodicesima sessione plenaria, tenutasi a Vienna nel 2010, per proseguire la riflessione iniziata con l’ultimo documento approvato dalla Commissione «Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità» (Ravenna, 2007). Lo studio del rapporto teologico ed ecclesiologico tra primato e sinodalità nella vita della Chiesa a livello locale, regionale e universale dovrebbe offrire il quadro di riferimento nel quale affrontare, in seguito, la questione cruciale del ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale. Ad Amman i membri della Commissione saranno chiamati a valutare se la bozza preparata dal Comitato di coordinamento rispecchi in maniera adeguata il consenso attualmente esistente su questa delicata materia o se sarà necessario continuare ad approfondire la tematica. La sessione plenaria offrirà ai partecipanti anche l’opportunità di condividere momenti di preghiera con le comunità cristiane locali e di testimoniare la propria vicinanza a coloro che soffrono a causa degli attuali conflitti nella regione. In particolare sabato 20 settembre i membri della Commissione saranno presenti alla celebrazione della messa nella parrocchia cattolica di Our Lady of Nazareth in Amman. E domenica 21 settembre parteciperanno alla celebrazione della divina liturgia in una chiesa ortodossa, sempre ad Amman. Infine è previsto che la Commissione faccia visita ad un campo di profughi provenienti dalla vicina Siria, per esprimere loro la solidarietà della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa.

da: www.orientecristiano.it



sabato 13 settembre 2014

14 settembre: Esaltazione della preziosa e vivificante Croce



Icona della Esaltazione della Croce
( collezione privata)


 Dal Vangelo di Giovanni

Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».
Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via, via, crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i sommi sacerdoti: «Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.
Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo. Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.



Apolitikion

Σῶσον Κύριε τὸν λαόν σου καὶ εὐλόγησον τὴν κληρονομίαν σου, νίκας τοῖς Βασιλεῦσι κατὰ βαρβάρων δωρούμενος καὶ τὸ σὸν φυλάττων διὰ τοῦ Σταυροῦ σου πολίτευμα.



Salva, o Signore, il tuo popolo e benedici la tua eredità, concedi ai regnanti vittoria sui barbari e custodisci con la tua Croce il tuo regno.




Romano il Melodo per l’Esaltazione della Santa Croce




L’albero dell’Eden è trapiantato nel Golgota 

            Romano il Melodo (+555) ha due inni liturgici dedicati alla Croce. Il secondo, per la festa dell’Esaltazione della Croce, è formato da 24 strofe, divise tematicamente in due parti: dalla 1 alla 13 in cui Romano dà voce al buon ladrone, crocefisso con Cristo sul Golgota; quindi dalla 14 alla 24 dove l’innografo mette in bocca del diavolo l’amarezza di fronte alla redenzione che Cristo porta nel mondo.
            Romano già dalla strofa 1 introduce quello che sarà il filo conduttore di tutto il poema: la centralità della croce come unico albero, presente nell’Eden e presente sul Golgota, ignorato da Adamo, riconosciuto e confessato dal ladrone: “Il legno tre volte beato, dono di vita, fu piantato dall’Altissimo nel mezzo del paradiso… affinché Adamo potesse ottenere la vita eterna e immortale. Ma lui non riconobbe la vita, la smarrì e scoprì la morte. Il ladrone invece che vide come questo albero dell’Eden era trapiantato sul Golgota, riconobbe in esso la vita…”. Romano sottolinea come la croce diventa l’altalena da dove il ladrone vede già l’Eden: “Quando (il ladrone) fu innalzato sul legno… gli occhi del suo cuore si aprirono ed egli contemplò le gioie dell’Eden… appeso alla croce scorgeva la vita sul legno… ma provava afflizione per Adamo sofferente”. L’innografo, in altre due strofe mette in bocca di Cristo stesso il tema paolino del primo e del secondo Adamo: “Cristo gli disse (al ladrone): «Non compiangere Adamo tuo progenitore, perché io sono il secondo e vero Adamo e per mia volontà sono venuto a salvare l’Adamo che mi appartiene»”. E prosegue col tema della redenzione del genere umano adoperata da Cristo stesso, per mezzo della sua incarnazione e la sua croce: “Nel mio amore per il genere umano sono sceso per lui dall’alto dei cieli… e sono diventato maledizione perché da essa voglio liberare Adamo. Per un legno la trasgressione penetrò nel tuo progenitore… ma entrerà di nuovo nel paradiso per il legno della vita”. La croce quindi diventa la chiave che apre di nuovo il paradiso ad Adamo e alla sua discendenza, tema comune alla letteratura cristiana orientale sia siriaca che bizantina: “Quando i primo creato fu scacciato dal paradiso, i cherubini ne sbarrarono la strada, ma tu prendi la mia croce sulle spalle e va in fretta all’Eden”.
            Dalla strofa 6 alla 10 Romano mette in bocca del ladrone camminante verso il paradiso, il cantico nuovo dei redenti, un vero e proprio salmo inneggiante la croce di Cristo: “…il ladrone prese sulle spalle l’emblema della grazia, come aveva detto colui che è in tutto misericordioso, e si mise in cammino benedicendo il dono della croce, cantando un cantico nuovo: «Tu sei l’innesto per le anime sterili, tu sei l’aratro… tu sei la buona radice della vita risuscitata, sei la verga del castigo…». Il ladrone inoltre si serve di bellissime immagini per parlare della croce: “Tu sei il bastone che accompagna verso la vita i peccatori che sperano in te… tu sei il vaglio che sull’aia separa la paglia dal raccolto. Tu sei il timone divino della barca della Chiesa di Cristo per dirigere i giusti ed i credenti verso il paradiso”. All’arrivo in paradiso il cantico del ladrone introduce il tema paolino della partecipazione del cristiano alla croce e alle sofferenze di Cristo: “Vedo la terra santa dei padri, che apparteneva al mio progenitore… e se l’esterno è pieno di luce, grandi davvero saranno i tesori all’interno. Occhio non vide, né orecchio udì, né cuore conobbe quello che il Signore ha preparato per i suoi amici, crocifissi con lui…”. Quindi il paradiso, grazie alla croce, viene ridato al ladrone; i cherubini ne furono custodi per un tempo, ma dopo il Golgota Adamo ne ridiventa padrone: “E i cherubini dissero: «Vieni ladrone ritorna in possesso dei diritti di tuo padre… a noi il paradiso non fu dato come se fossimo padroni: esso venne assegnato da Dio al primo uomo… Tu, o ladrone, ci hai rivelato che Adamo è stato richiamato dall’esilio…».
            Nella seconda parte del poema, Romano mette in bocca del diavolo tutta l’amarezza della sua sconfitta. Con delle belle immagini fortemente contrastanti, l’innografo mette in parallelo i “due furti” che amareggiano il diavolo: “E il diavolo, vedendo il ladrone nell’Eden, esclamò piangendo: «Terribile è questo che mi è accaduto! Un ladrone giustificato che ha aperto il paradiso. E mentre io cerco di rubare Pietro, proprio a me, che sono ladro, è stato rubato il ladrone! Mentre mi prendo gioco del discepolo impazzito, del traditore di Cristo, sono stato preso in gioco dal ladro che per la sua fede è corso in paradiso». Il diavolo, cercando di rubare discepoli a Cristo, è derubato dal ladrone, suo strumento. E conclude ancora il rimpianto del diavolo con un riferimento sempre ai discepoli di Cristo: “Se avessi visto Giuda guadagnare il paradiso, non avrei sofferto troppo a causa sua, perché non era mio discepolo ma di Cristo. Il ladrone invece era mio fedele discepolo, eppure mi ha abbandonato per correre da Gesù, mi ha odiato e, quel che è peggio, a causa del legno è diventato anche custode del paradiso”.
            Romano conclude nella strofa 24 con una preghiera a Cristo: “Sei diventato figlio di Maia, o Figlio di Dio e Salvatore nostro; alla croce sei stato inchiodato, tu che sei Dio incarnato, per salvare ed avere pietà dei peccatori… Insieme al ladrone gridiamo a te, come fossimo sulla croce: «Ricordati di noi nel tuo Regno»… noi che abbiamo ricevuto il sigillo della tua croce che ci fa una sola cosa in paradiso”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma



domenica 7 settembre 2014

8 Settembre: La Nascita della Madre di Dio nella tradizione bizantina



Ecco la regina che germoglia da Iesse

Come prima grande festa dell'anno liturgico, l'8 settembre la tradizione bizantina celebra la Nascita della Madre di Dio, con un giorno di prefesta e quattro di ottava (solo quattro per la vicinanza con la seconda delle grandi feste, quella dell'Esaltazione della santa Croce il 14 dello stesso mese). L'icona della festa è molto simile a quelle della nascita di Giovanni Battista e nascita di Cristo: Anna sdraiata al centro della scena iconografica e accudita da tre donne, guarda Gioacchino oppure la neonata, che viene lavata e curata dalle levatrici. A un lato dell'icona troviamo Gioacchino che guarda la moglie e la bimba.
L'amore sponsale dei due anziani è sottolineato dal loro sguardo tenero e sereno. Due donne lavano Maria, avvolta in fasce come Cristo nell'icona di Natale e come l'anima di Maria accolta in cielo da Cristo stesso nell'icona della Dormizione della Madre di Dio. Come se il ciclo liturgico, in questa sua prima grande festa, volesse ricordarci attraverso l'icona l'ultima delle grandi feste, quella appunto della Dormizione: il mistero della nascita della Madre di Dio e quello della sua glorificazione in cielo.
Nell'ufficiatura, tema di sottofondo è la gioia che la nascita di Maria porta a tutto il mondo, per la sua nascita, ma anche perché questa preannuncia quella di colui che da lei si incarna per opera della Spirito Santo: "Con la tua natività, o immacolata, sono sorti sul mondo i raggi spirituali della gioia universale, che a tutti preannunciano il sole della gloria, Cristo Dio perché sei tu che ci procuri la presente letizia, sei tu la causa della gioia futura, tu il gaudio della divina beatitudine".
Riprendendo poi il saluto angelico del vangelo di Luca e sul modello dell'inno Akàthistos, Maria stessa è invitata alla gioia: "Gioisci, ricapitolazione dei mortali; gioisci, tempio del Signore; gioisci, monte santo; gioisci, mensa divina; gioisci, candelabro tutto luminoso; gioisci, vanto dei veri credenti, o venerabile; gioisci, Maria, madre del Cristo Dio; gioisci, tutta immacolata; gioisci, trono di fuoco; gioisci, dimora; gioisci, roveto incombusto; gioisci, speranza di tutti".
La liturgia sottolinea come Anna genera colei che a sua volta genererà la salvezza del genere umano: "Perché ecco, la regina, l'immacolata sposa del Padre, è germogliata dalla radice di Iesse". Dal parto di Anna scaturisce quindi la gioia: "Non partoriranno più figli nel dolore le donne, perché è fiorita la gioia, e la vita degli uomini abita nel mondo. Non saranno più rifiutati i doni di Gioacchino, perché il lamento di Anna si è mutato in gioia ed essa dice: Rallegratevi con me, tutti voi del popolo eletto Israele: poiché ecco, il Signore mi ha donato la reggia vivente della sua divina gloria, per la comune letizia, gioia e salvezza delle anime nostre".
In un tropario sono ben dieci i titoli cristologici dati alla Madre di Dio, conclusi da una professione di fede nel mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio: "Venite, fedeli tutti, corriamo verso la Vergine, perché ecco, nasce colei che prima di essere concepita in seno è stata predestinata a essere madre del nostro Dio; il tesoro della verginità, la verga fiorita di Aronne, che spunta dalla radice di Iesse, l'annuncio dei profeti, il germoglio dei giusti Gioacchino e Anna nasce, e il mondo con lei si rinnova. Essa è partorita, e la Chiesa si riveste del proprio decoro. Il tempio santo, il ricettacolo della divinità, lo strumento verginale, il talamo regale nel quale è stato portato a compimento lo straordinario mistero della ineffabile unione delle nature che si congiungono in Cristo: adorando lui, celebriamo l'immacolata nascita della Vergine".
Diversi testi presentano il contrasto tra la sterilità di Anna e il parto verginale e divino di Maria, come quello che segue: "Oggi è il preludio della gioia universale. Oggi cominciano a spirare le aure che preannunciano la salvezza. La sterilità della nostra natura è finita, perché la sterile diventa madre di colei che resta vergine dopo aver partorito il Creatore, di colei dalla quale colui che è Dio per natura assume ciò che gli è estraneo, e, con la carne, per gli sviati opera la salvezza. Oggi la sterile Anna partorisce la Madre di Dio, prescelta fra tutte le generazioni per essere dimora del Re universale e Creatore, il Cristo Dio, a compimento della divina economia".
Un tropario del vespro, infine, mette in luce il mistero del Verbo di Dio incarnato: "Colui che ha consolidati i cieli con sapienza, nel suo amore per gli uomini si è preparato un cielo vivente".

di P.Manuel Nin

venerdì 5 settembre 2014

L’inizio dell’anno nella tradizione bizantina




Benedici la corona della tua benignità

Per tutte le Chiese cristiane di oriente e occidente la Pasqua è la festa più antica e più importante; attorno a essa si è sviluppato l’anno liturgico nei suoi diversi periodi. Nel ii secolo la controversia quartodecimana sulla data della festa indica già l’importanza della celebrazione pasquale e la sua necessaria comprensione centrata sempre sul mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. La Pasqua, con il periodo di dieci settimane che la precede e di otto settimane che ne prolunga la celebrazione, è il nucleo dello sviluppo di tutte le feste cristiane strutturate nel ciclo liturgico. Oltre al periodo pasquale, mobile, e a quello natalizio (che si sviluppa dal iv secolo attorno alle celebrazioni del Natale del Signore il 25 dicembre e della sua Epifania il 6 gennaio), in oriente le Chiese cristiane hanno poi un calendario di solenni celebrazioni a data fissa, le “dodici grandi feste”.
Nella tradizione bizantina l’inizio dell’anno liturgico si colloca il primo giorno di settembre, mese delle ultime raccolte e dell’inizio della preparazione per un nuovo ciclo della vegetazione. In questo giorno la tradizione bizantina celebra l’indizione e l’inizio del nuovo anno come un momento per ringraziare Dio della sua provvidenza verso tutta la creazione e anche per l’opera della sua redenzione in Cristo. Già a partire dal 312 è attestata nel computo cronologico e civile l’indizione, periodo di quindici anni in cui l’impero faceva i controlli finanziari e fiscali. Così, l’inizio dell’indizione nel mese di settembre — dapprima il 23 e poi, dal 462, il primo giorno del mese — ha segnato anche l’inizio dell’anno civile ed ecclesiastico.
Il 1° settembre si celebra dunque Cristo, figlio e Verbo di Dio, incarnatosi per portare tutte le cose all’unità e riconciliare tutti gli uomini in se stesso. Per questo, la pericope evangelica proclamata nell’ufficiatura del mattutino è quella delle beatitudini (Luca, 6, 17-23), mentre nella Divina liturgia si ascolta il brano del vangelo di Luca (4, 16-23) con la citazione di Isaia (61, 1) letta nella sinagoga di Nazareth dallo stesso Gesù: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato e mi ha inviato a inaugurare l’anno di grazia del Signore».
Il meneo (libro liturgico in dodici volumi contenente le ufficiature in data fissa di tutto l’anno nella tradizione bizantina) del mese di settembre riporta per il primo giorno del mese la seguente indicazione: «Inizio dell’indizione, cioè del nuovo anno, e memoria del nostro santo padre Simeone stilita (459); inoltre, celebrazione della santissima Madre di Dio del monastero dei Miaseni, del santo martire Aeitala (355), delle sante quaranta donne (312) e di Ammone diacono, loro maestro; memoria dei santi martiri Callista, Evodio e Ermogene, fratelli (303-304); memoria di Gesù figlio di Nave e commemorazione del grande incendio (461)». È una rubrica assai abbondante di nomi di santi e di fatti che si commemorano in questo giorno; soltanto due di loro sono presenti nell’ufficiatura del giorno: l’indizione e inizio del nuovo anno e san Simeone stilita.
Per quanto riguarda l’indizione e l’inizio dell’anno, i testi fanno risaltare diversi aspetti. In primo luogo il nuovo anno è visto come una nuova creazione e quindi si mette in evidenza la figura di Cristo come creatore. La benedizione di Cristo sul nuovo anno è dunque vista come l’azione della sua mano creatrice e provvidente sul mondo e sulla Chiesa stessa: «Tu che hai creato l’universo con sapienza, Verbo del Padre che sei prima dei secoli, e formato tutta la creazione con la tua parola onnipotente, benedici la corona dell’anno della tua benignità. Creatore e sovrano dei secoli, Dio dell’universo, benedici questo ciclo annuale, salvando con la tua infinita misericordia, o compassionevole, tutti coloro che rendono culto a te, unico sovrano, e che con timore gridano a te, o redentore. Tu, congiunto al santo Spirito, Verbo senza principio e Figlio, con lui creatore e artefice di tutte le cose visibili e invisibili, benedici la corona dell’anno, custodendo nella pace i popoli di retta fede, per intercessione della Madre di Dio e di tutti i tuoi santi».
Alcuni testi riecheggiano la pericope evangelica di Luca citata e introducono anche il tema di Cristo come maestro per la sua Chiesa: «Tu che un tempo sul monte Sinai hai scritto le tavole della Legge, tu stesso, nella carne, hai ricevuto a Nazareth un libro profetico da leggere, o Cristo Dio, e apertolo insegnavi ai popoli che in te si era compiuta la Scrittura». Sulla scia della figura di Cristo maestro, i testi ripetono l’invocazione della Chiesa: «Appresa la preghiera dal divino insegnamento a noi impartito da Cristo stesso, gridiamo ogni giorno al Creatore: Padre nostro, che dimori nei cieli, donaci il pane quotidiano, senza far conto delle nostre colpe».
Altri testi dell’ufficiatura invocano la protezione del Signore in modo concreto, con preghiere per la città di Costantinopoli e per l’imperatore: «Tu, o re, tu che sei e rimani per i secoli senza fine, ricevi la preghiera dei peccatori che chiedono salvezza, e concedi, o amico degli uomini, fertilità alla tua terra, donando climi temperati; combatti insieme al nostro fedelissimo re contro i barbari. Dona vittoria, o Cristo Dio, per l’intercessione della Madre di Dio. Artefice di tutto il creato, che hai posto in tuo potere tempi e momenti, benedici la corona dell’anno della tua benignità, Signore, custodendo nella pace i tuoi re e la tua città».
La seconda commemorazione importante del 1° settembre è quella di san Simeone stilita, vissuto in Siria nel v secolo come monaco e solitario, avendo scelto come forma di ascesi la vita su una colonna (in greco stýlos). Lo stilitismo è una delle forme di vita monastica, o più precisamente ascetica, che si riscontra nel monachesimo bizantino e siriaco dal v secolo in poi. Le testimonianze agiografiche e archeologiche sono molto abbondanti, sia per le biografie dettagliate di questi asceti, sia per la quantità di reperti archeologici ancora oggi visibili. Le fonti presentano lo stilita come colui che in un modo quasi paradossale, innalzato sulla colonna, sale verso il cielo, senza lasciare però la sua comunione con gli uomini e il mondo.
L’icona della festa rappresenta di solito due stiliti: Simeone stilita sulla colonna di sinistra e il suo discepolo e omonimo Simeone il giovane (detto anche il taumaturgo) su quella di destra. Attorno alle colonne accorrono numerosi discepoli e fedeli per chiedere all’anziano preghiera, consiglio o guarigione.
Nei testi dell’ufficiatura di san Simeone la colonna che lo porta in alto è innanzi tutto messa in parallelo con il profeta Elia portato in cielo sul carro di fuoco: «Padre santo, hai trovato una bella scala con la quale sei salito nelle altezze, come la trovò Elia nel carro di fuoco: ma egli non lasciò ad altri quella via di ascesa, mentre tu, dopo la morte, hai ancora la tua colonna. Uomo celeste, angelo terrestre, astro insonne della terra, Simeone santo, intercedi per la salvezza delle anime nostre». Mentre il carro di Elia sparisce con lui in cielo, la colonna di Simeone rimane come testimonianza della sua ascesi, modello per coloro che ne seguirono l’insegnamento; la colonna stessa è il testimone principale della vita del santo: «Padre santo, se la colonna potesse parlare, non cesserebbe di proclamare le tue pene, le tue fatiche, i tuoi gemiti; sì, essa che ti sosteneva veniva in realtà sostenuta, come albero impinguato dalle tue lacrime; sbigottirono gli angeli, stupirono gli uomini, ebbero timore i demoni per la tua pazienza».
In secondo luogo, sempre usando il parallelismo tra due personaggi, i testi accostano Simeone a Cristo stesso, a partire dalla croce e dalla colonna, luogo dove si compie il sacrificio dell’uno e dell’altro: «Padre santo, imitando il tuo sovrano per la potenza del divino Spirito, sei salito sulla colonna come sulla croce: egli ha cancellato l’attestazione scritta delle colpe di tutti, tu invece hai messo fine all’insorgere delle passioni; egli come pecora, e tu come vittima; egli sulla croce, e tu sulla colonna. Simeone santo, intercedi per la salvezza delle anime nostre».

Infine, i testi liturgici mettono in risalto lo stilita come intercessore: «Rimane nei secoli la tua memoria, santo padre Simeone, e la mitezza del tuo cuore, o servo beato, poiché anche se tra di noi te ne sei andato, o buon pastore, non ti sei separato da noi con lo spirito, tenendoti davanti a Dio con amore e unendoti ai cori degli angeli nei cieli; insieme a loro supplica per la salvezza delle anime nostre».

di P. Manuel Nin