sabato 23 maggio 2015

Domenica di Pentecoste




“La festa della discesa del Santo Spirito”. Pronuncio queste parole che conosco sin dalla mia infanzia e mentre le pronuncio mi colpiscono come se le sentissi per la prima volta. Sì, sin dal tempo in cui ero bambino ho saputo che 10 giorni dopo l’Ascensione, cioè 50 giorni dopo Pasqua, i Cristiani, da tempi immemorabili, celebravano e continuano a celebrare la discesa del Santo Spirito durante una festa conosciuta col suo nome ecclesiale come Pentecoste o, più comunemente, come “Trinità”, il giorno della Trinità.
Da secoli, per preparare questa Festa, le chiese venivano pulite ed ornate con fronde verdi e rami, e si spargeva dell’erba per terra… Il giorno della festa, al momento del Vespro solenne, i fedeli stavano in chiesa con dei fiori in mano. Queste abitudini spiegano come la festa della Pentecoste è entrata nella coscienza popolare e nella letteratura russa come un tipo di celebrazione radiante, brillante come il sole, la festa della fioritura, un gioioso incontro tra gli umani ed il mondo di Dio in tutta la sua bellezza e la sua grazia.
Tutte le religioni, comprese le più antiche e primitive, avevano una festa per la fioritura, una festa per celebrare la prima comparsa di germogli, di piante, di frutta. Nell’antico giudaismo, era la festa di Pentecoste. Se nella religione del Vecchio Testamento, la Pasqua celebrava la risurrezione del mondo e della natura in primavera, allora la Pentecoste ebraica era la festa del passaggio della primavera verso l’estate, celebrando la vittoria del sole e della luce, la festa della pienezza cosmica. Ma nell’Antico Testamento, una festa comune a tutte le società umane acquisisce un nuovo significato: diventa la commemorazione annuale della salita di Mosè sul monte Sinai, dove in un indicibile incontro mistico, Dio rivela se stesso, entrando in un’Alleanza, dando i Comandamenti, e promettendo la Salvezza. In altri termini, la religione cessò di essere semplicemente naturale, e diventa allora l’inizio della storia: Dio aveva rivelato la Sua Legge, i Suoi Comandamenti, il Suo piano per l’umanità, ed aveva mostrato il cammino. La primavera, l’estate, il ciclo naturale eterno, diventò un segno ed un simbolo non soltanto della natura, ma del destino spirituale dell’uomo, e il comandamento di crescere nella pienezza della conoscenza, vita e pienezza perfetta… infine, nell’ultima fase del Vecchio Testamento, con l’insegnamento e la visione dei profeti, questa festa divenne una celebrazione diretta verso l’avvenire, verso la vittoria finale di Dio nella Sua Creazione. Ecco come il profeta Gioele ne parla: Dopo questo, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito. Farò prodigi nel cielo e sulla terra, sangue e fuoco e colonne di fumo. Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il giorno del Signore, grande e terribile. Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato, poiché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore, anche per i superstiti che il Signore avrà chiamati”(Gioele 3, 1-5).
È così che la festa ebraica della Pentecoste è una festa della natura e del cosmo, una festa della storia vista come rivelazione della volontà di Dio per il mondo e gli uomini, una festa del trionfo futuro, della vittoria di Dio sul male e della venuta del grande ed ultimo “Giorno del Signore”. Occorre tenere tutto questo a mente per comprendere come i primi Cristiani hanno sperimentato, compreso e celebrato la loro festa di Pentecoste, e perché è diventata una delle più importanti celebrazioni cristiane.
Il Libro degli Atti degli Apostoli, dedicato a narrare la storia dei primi Cristiani e della diffusione iniziale del Cristianesimo, comincia precisamente con il giorno della Pentecoste, descrivendo ciò che si verificò 50 giorni dopo la Risurrezione di Cristo, e 10 giorni dopo la Sua Ascensione al Cielo. Appena prima della Sua Ascensione, Cristo aveva detto ai discepoli di “non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettarvi il compimento della promessa del Padre, la quale, egli disse, avete udita da me” (Atti 1, 4). Così 10 giorni dopo, secondo il racconto di san Luca: “E quando il giorno della Pentecoste fu giunto, tutti erano insieme nel medesimo luogo. E subito si fece dal cielo un suono come di vento impetuoso che soffia, ed esso riempì tutta la casa dov’essi sedevano. E apparvero loro delle lingue come di fuoco che si dividevano, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furon ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d’esprimersi […] E tutti stupivano ed eran perplessi dicendosi l’uno all’altro: Che vuol esser questo? Ma altri, beffandosi, dicevano: Son pieni di vin dolce” (Atti 2, 1-4; 12-13).
A quelli che assistevano alla scena, ed erano rimasti scettici, l’Apostolo Pietro spiegò il significato dell’evento utilizzando le parole del profeta Gioele citate più su. Dice: “Ma questo è ciò che fu detto dal profeta Gioele: ‘E avverrà negli ultimi giorni, dice Dio, che spanderò del mio Spirito sopra ogni carne’ ” (Atti 2, 16-17).
Di conseguenza, per il Cristiano, la festa della Pentecoste è il completamento di tutto ciò che Cristo ha compiuto. Cristo ha insegnato a proposito del Regno di Dio, ed ecco, ora è aperto! Cristo ha promesso che lo Spirito di Dio avrebbe rivelato la verità, e anche questo, si è compiuto. Il mondo, la storia, la vita, il tempo, tutti sono illuminati dalla luce finale, trascendente, tutti sono riempiti del significato ultimo. L’ultimo e grande giorno del Signore è cominciato!

Protopresbitero Alexander Schmemann


APOLITIKION

Εὐλογητὸς εἶ, Χριστὲ ὁ Θεὸς ἡμῶν, ὁ πανσόφους τοὺς ἁλιεῖς ἀναδείξας, καταπέμψας αὐτοῖς τὸ Πνεῦμα τὸ ἅγιον, καὶ δι' αὐτῶν τὴν οἰκουμένην σαγηνεύσας, φιλάνθρωπε, δόξα σοι.


Benedetto sei Tu, o Cristo Dio nostro, che hai mostrato sapienti i pescatori per aver mandato lo Spirito Santo, e per mezzo di essi hai preso nelle reti il mondo; o amico degli uomini, gloria a te.




L’invocazione dello Spirito Santo nella tradizione siro occidentale


Miniatura della Pentecoste II. Evangeliario siriaco, XIII secolo. 1

Infuocati dallo Spirito

            La tradizione liturgica della Chiesa siro occidentale, chiamata anche Chiesa siro antiochena, possiede un’abbondante patrimonio di testi di anafore eucaristiche, una settantina nell’insieme, di cui una ventina soltanto edite finora. Testi di attribuzione e paternità molto varia: san Giacomo primo vescovo di Gerusalemme, san Marco, san Giovanni Evangelista, Dodici Apostoli, Gregorio di Nazianzo, Severo di Antiochia, Dioscoro, Giacomo di Sarug, cioè nomi di apostoli, e di santi padri legati molti di essi alla tradizione cristologica di questa Chiesa. Ci soffermiamo in modo particolare nell’epiclesi che si trova in alcune di queste anafore, cioè la preghiera di invocazione dello Spirito Santo sul pane e sul vino affinché diventino il Corpo ed il Sangue di Cristo. In tutti i testi anaforici è sempre lo Spirito Santo colui che è invocato per la consacrazione del pane e del vino, allo stesso modo che è Lui che santifica e consacra l’acqua battesimale e l’olio santo. Filosseno di Mabbug, vescovo siriaco nel VI secolo, dirà che: “I misteri appaiono agli occhi degli uomini come semplici cose, ma per l’irruzione dello Spirito Santo ricevono una forza soprannaturale; l’acqua, da una parte, diventa grembo materno che genera dei figli alla vita dello Spirito. L’olio riceve la forza santificatrice che unge e consacra allo stesso tempo corpo ed anima; il pane ed il vino diventano il Corpo ed il Sangue del Figlio di Dio fatto uomo”. Il tema dell’acqua come grembo e il battesimo come nascita è un aspetto molto tipico della teologia siriaca; inoltre ci troviamo di fronte ad una forza e ad una presenza misteriosa che agisce ed opera nell’eucaris­tia; si tratta di una trasformazione e di una presenza divina dello Spirito Santo. Efrem, in una omelia sulla Settimana Santa afferma: “Voi mangerete una Pasqua pura ed immacolata, un pane lievitato e perfetto che lo Spirito Santo ha preparato e ha fatto cuocere, un vino mescolato di fuoco e di Spirito: il Corpo ed il Sangue di Dio, che fu vittima per tutti gli uomini”.
Nelle anafore il sacerdote, dopo la narrazione dell’istituzione dell’eucaristia, invoca lo Spirito Santo sui doni e sulla comunità ecclesiale: “Anco­ra ti chiediamo, Signore di tutto e Dio delle potenze sante, prostrandoci davanti a te sul nostro volto, di mandare il tuo Spirito Santo su queste offerte qui poste…. E rivela che questo pane è il Corpo prezioso del nostro Signore Gesù Cri­sto… E che questo calice è il Sangue del nostro Signore Gesù Cristo…. Perché questi san­ti sacramenti siano per tutti coloro che ne prenderanno: vita, ri­surrezione, remissione dei peccati, gua­rigione del­l'anima e del corpo, il­lumina­zione dello spirito, giustificazione davan­ti al tre­mendo tribunale del tuo Cristo…” (Dodici Apostoli). Nell’anafora di san Giacomo troviamo ben presente tutta la teologia dello Spirito Santo sviluppatasi nella seconda metà del IV secolo, in tre aspetti ben concreti, cioè in quello che lo Spirito Santo è: “il tuo Santissimo Spirito, che è Signore e dà la vita, assiso sul trono insieme con te, Dio e Padre, e con l’unigenito Figlio tuo, che regna con te, della stessa sostanza, coeterno, che ha parlato nella legge, nei profeti e nel Nuovo Testamento...”. Poi in quello che lo Spirito fa, cioè la santificazione dei doni: “Affinché per la sua venuta faccia di questo pane il Corpo di Cristo... E di quello che è mescolato in questo calice il Sangue di Cristo...”. Quindi in quello che i Santi Doni diventano per i fedeli e per la Chiesa: “Affinché questi misteri diano a coloro che li ricevono e ne partecipano, santità dell’anima e del corpo, e producano in essi frutti di buone opere, raffermino la tua santa Chiesa, che tu hai fondato sulla roccia della fede, e contro di essa le porte degli inferi non prevarranno, preservandola da ogni eresia e degli scandali di coloro che trasgredisco­no la fede…”. Quindi da sottolineare la dimensione ecclesiologica della teologia dello Spirito Santo nelle anafore siriache: la santificazione adoperata dallo Spirito sui Santi Doni è in vista alla santificazione dei fedeli, alla purificazione delle loro mancanze e al perdono dei loro peccati. Inoltre nell’anafora attribuita a san Giovanni Evangelista, troviamo una triplice epiclesi, sul sacerdote, sui doni e sui fedeli: “Signore, pieno di bontà e di misericordia, abbi pietà di me e manda su di me e su queste offerte il tuo Spirito vivente, santo e vivificante… Che lui discenda su questi misteri e li santifichi, affinché una volta sceso faccia di questo pane il Corpo di Cristo nostro Dio, e di questo calice il sangue dello stesso Cristo nostro Dio. Affinché questi misteri purifichino i cuori di coloro che ne parteciperanno, rendano spirituali i loro pensieri e santifichino le loro anime…”. Riprendendo l’immagine dello Spirito Santo adoperata nel testo sopra citato di sant’Efrem, Lui è il fuoco nascosto che avvolge il sacerdote che adopera il sacrificio; il fuoco che sorvola l’altare e che discende sui doni all’epiclesi.
Lo Spirito Santo quindi come fuoco, ed i suoi effetti. Gli autori siriaci parleranno del calore, della lievitazione, della cottura, dell’incandescenza..., applicate allo Spirito Santo, come simboli di realtà spirituali. Parlando dello Spirito Santo come fuoco, vogliono sottolineare l’opera divina dello Spirito Santo per mezzo dei Santi Doni: diventati infuocati nello Spirito Santo, per mezzo di essi i fedeli sono vivificati e ricevono i doni dell’immortalità.
            All’invocazione del sacerdote, quindi, lo Spirito Santo, donatore di vita, scende sulle offerte collocate sull’altare e che rappresentano Cristo messo nella tomba. In qualche modo si può dire che il sacerdote invoca lo Spirito Santo affinché renda presente la risurrezione di Cristo sull’altare; cioè dia al Corpo di Cristo messo nella tomba l’immortalità, l’incorruttibilità e lo faccia diventare, come abbiamo letto nell’epiclesi dell’anafora di san Giacomo: “Corpo datore di vita, Corpo che dà la salvezza alle nostre anime e ai nostri corpi, Corpo del Signore, Dio grande e Salvatore nostro Gesù Cristo”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma



giovedì 14 maggio 2015

L’Ascensione del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.




Tu che per me come me ti sei fatto povero…

          La festa dell’Ascensione del Signore si celebra il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione, cioè il giovedì della sesta settimana di Pasqua. L'icona della festa riprende due testi del Nuovo Testamento: Lc 24,50-53: Poi il Signore condusse i discepoli fuori e alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo... e Atti 1,9-11: ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Questo Gesù che è stato assunto di tra voi... tornerà un giorno... Si tratta senz’altro dell'icona dell'Ascensione del Signore, ma anche l’icona della sua seconda venuta. L'immagine è divisa in due parti ben distinte: quella superiore dove si vede Cristo assiso su un trono, ascendente e immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore l’icona colloca la Madre di Dio in mezzo ai discepoli, tra cui c’è Pietro a destra e Paolo a sinistra, e due angeli in bianche vesti. L'icona dell'Ascensione –e la stessa festa dell'Ascensione come vedremo nei testi liturgici- contempla Cristo nel suo innalzarsi, sostenuto dagli angeli. Quindi dalla sua Ascensione fino al suo ritorno Cristo Signore presiede la sua Chiesa - nell'icona questo è molto evidente; Lui dal suo trono presiede la Chiesa formata dagli apostoli, presiede la preghiera della Chiesa. L'atteggiamento di Maria nell’icona è sempre lo stesso: la preghiera. Lei no guarda in alto -in quasi nessuna icona dell'Ascensione-, ma guarda di fronte, essa stessa guarda la Chiesa per ricordarle la necessità della veglia, dell'’attesa, della preghiera. Icona dell'Ascensione di Cristo, ma anche l'icona della Chiesa nata dalla croce di Cristo: nell’icona su potrebbe anche legere una croce formata dall’asse verticale da Cristo a Maria, e l’asse orizzontale che percorre le teste degli angeli in bianche vesti e gli apostoli stessi; icona della Chiesa che vive da e nella preghiera della comunità e dalla testimonianza degli apostoli, mentre è nella attesa del ritorno del suo Signore.
          L’icona dell'Ascensione e i testi dell'ufficiatura della festa sottolineano come il Signore, ascendendo in cielo esalta l’umanità da noi assunta: “Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesú, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l=hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per il prodigio, estatiche stupivano e, prese da tremore, magnificavano il tuo amore per gli uomini…”.
          L’Ascensione del Signore nei testi della liturgia della festa è sempre pegno della sua promessa e della missione dello Spirito Santo. L’icona della festa della Pentecoste infatti riprenderà quasi uguale la parte inferiore dell'icona dell'Ascensione: in ambedue vediamo la Madre di Dio e gli apostoli in atteggiamento di preghiera contemplando il Cristo ascendente; la Madre di Dio e gli apostoli, la Chiesa stessa in atteggiamento di preghiere per ricevere il dono dello Spirito Santo: “Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall'eternità, nel suo seno dimora… Signore, quando gli apostoli ti videro sollevarti sulle nubi, gemendo nel pianto, pieni di tristezza, o Cristo datore di vita, tra i lamenti dicevano: O Sovrano, non lasciare orfani i tuoi servi che tu, pietoso, hai amato nella tua tenera compassione: mandaci, come hai promesso, lo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre…”.
          Tutta l’economia della nostra salvezza, il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio, viene riassunto in uno dei tropari del vespro, che lo presenta con l’immagine della povertà assunta dal Signore nel suo farsi uomo: “Signore, compiuto il mistero della tua economia, hai preso con te i tuoi discepoli e sei salito sul Monte degli Ulivi: ed ecco, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. O tu che per me come me ti sei fatto povero, e sei asceso là, da dove mai ti eri allontanato, manda il tuo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre”.
          Uno dei tropari dell'ufficiatura del vespro canta l’ascensione del Signore servendosi del salmo 23 nella sua forma dialogica, così come lo troviamo anche nella stessa notte di Pasqua nella liturgia bizantina: “Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l'un l'altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria. Ma perché sono rossi i suoi vestiti? Viene da Bosor, cioè dalla carne. E tu, dopo esserti assiso in quanto Dio alla destra della Maestà, ci hai inviato lo Spirito Santo per guidare e salvare le anime nostre”.
          Icona e festa dell'Ascensione del Signore; icona e festa della sua seconda  venuta. Diversi dei testi del mattutino della festa sottolineano questo doppio aspetto, commentando quasi iconograficamente l’uno e l’altro: “Uccisa la morte con la tua morte, o Signore, hai preso con te quelli che amavi, sei salito al santo Monte degli Ulivi, e di là sei asceso al tuo Genitore, o Cristo, portato da una nube… Agli apostoli che continuavano a guardare dissero gli angeli: Uomini di Galilea, perché restate sbigottiti per l'ascensione del Cristo, datore di vita? Così egli stesso verrà di nuovo sulla terra per giudicare tutto il mondo, quale giustissimo Giudice…”. Il tropario della festa raccoglie i diversi aspetti della festa stessa: “Sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, rallegrando i discepoli con la promessa del Santo Spirito: essi rimasero confermati dalla tua benedizione, perché tu sei il Figlio di Dio, il Redentore del mondo”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma.




APOLITIKION

νελήφθης ν δόξ, Χριστ Θες μν, χαροποιήσας τος Μαθητάς, τ παγγελί το γίου Πνεύματος· βεβαιωθέντων ατν δι τς ελογίας, τι σ ε Υός το Θεο, λυτρωτς το κόσμου.


Ascendesti nella gloria, o Cristo Dio nostro, e rallegrasti i discepoli con la promessa del Santo Spirito, essendo essi confermati per la tua benedizione, che tu sei il Figlio di Dio, il Redentore del mondo.